BOTTIGLINA

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Da Gramsci a Franco Gasparri: il ritorno del fotoromanzo e la paraletteratura

Ogni tassonomia letteraria, dalla più rigorosa alla più approssimata, mette all’ultimo posto la cosiddetta letteratura da edicola. Spinazzola la chiama “letteratura marginale”, Gramsci la chiama “paraletteratura”, Schulz-Buschhaus “trivialliteratur”, ma il senso è identico. Spinazzola la descrive come «pubblicazioni che banalizzano, involgariscono, imbastardiscono tendenze già sfruttate, appiattendosi nella serialità ripetitiva». Gramsci le riconosce un valore positivo, soprattutto perché è adatta a soddisfare i bisogni di masse con strumenti culturali ridotti. Su di essa scrive: «rappresenta un elemento attuale di cultura, degradata quanto si vuole, ma sentita vivamente». Schulz-Buschhaus invece, inserisce il termine in un contesto molto più ampio e vaporoso. La sua “Trivialliteratur” è un «fenomeno testuale situato nei bassifondi della letteratura». Nel concetto di paraletteratura, comunque si voglia declinarlo, rientrano le cosiddette “pubblicazioni da edicola”. Quasi mai hanno un codice ISBN, quindi non solo non sono considerate cultura in senso stretto ma non vengono annoverate tra i libri.

Il fotoromanzo In questa non distinzione c’è tutto il distacco tra forme “alte” e “basse”, tra un mondo culturale astratto e lontano e il nazionalpopolare. Eppure, proprio in Italia, a partire dal secondo Dopoguerra, nasceva un genere che assunse grande importanza e che generò livelli di vendite sostanziose: il fotoromanzo. La paternità del fotoromanzo è di due grandi nomi: Damiano Damiani e Cesare Zavattini. Proprio quest’ultimo sceneggiò gran parte neorealismo italiano: Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Il cappotto, Bellissima sono solo alcuni dei film che hanno visto Zavattini soggettista e sceneggiatore. L’idea è semplice: un fumetto, rivolto prevalentemente a un pubblico femminile, senza protagonisti animati ma con bellocci ritratti in foto. Spiega Mario Sprea, sceneggiatore per oltre vent’anni e ad oggi direttore di “Kolossal”: «Prendevamo gli attori per strada, vicino a via Veneto. Avevano delle facce bellissime e si accontentavano di pochi soldi». L’idea funzionò da subito, e contribuì persino ad insegnare a leggere a molte ragazze della neonata Repubblica.

L’ascesa del fotoromanzo Negli anni Sessanta e Settanta il «boom» coinvolge anche questo tipo di pubblicazioni e si afferma la “Lancio”, casa editrice specializzata in fotoromanzi che pubblica “Sogno”. Si tratta di una rivista capace di assumere di fatto il monopolio nel campo e sfondare anche all’estero. Il fotoromanzo diventa fenomeno di costume, capace di regalare brividi alle ragazzine sottoposte ad una rigida educazione, farle sognare con baci appassionati, pose lascive e petti nudi. Su “Sogno” sono apparsi Sophia Loren (sotto il nome di “Sofia Lazzaro”), Raffaella Carrà, Mike Bongiorno, Loretta Goggi, Johnny Dorelli. In seguito, si affermò una vera e propria sottocategoria, quella degli attori di fotoromanzi. Abbiamo allora l’arrivo dei re di questo genere: Franco Gasparri e il suo eterno rivale Franco Dani, Katiuscia, Michela Roc, Pierre Clement, Marina Coffa, Francesca Rivelli (che non aveva ancora assunto il nome d’arte di Ornella Muti) e Max Delys. Il fotoromanzo era un genere in continua crescita, che garantiva guadagni cospicui senza presupporre il bisogno di saper recitare. È stato infatti, nel corso degli anni, rampa di lancio per “belli” come Sebastiano Somma, Roberto Farnesi, Kabir Bedi, Massimo Ciavarro, Fabio Fulco, Enrico Mutti, Antonio Zequila, Manuela Arcuri, Alessia Merz, Giuliano Gemma. Un mondo praticamente infinito che entra in crisi quando, alla fine degli anni Ottanta, esplode la televisione ed arrivano le soap opera.

La “Lancio” finisce addirittura in liquidazione e Franco Dani si dà alla musica mentre gli altri “belli” passano in blocco al piccolo schermo, mettendo in evidenza la loro scarsa attitudine alla recitazione.

Il ritorno di Kolossal e Sogno Proprio quando tutto sembrava finito, è arrivato il Covid. Da qualche soffitta polverosa alla Sprea editrice riemergono centinaia di fotoromanzi degli anni Sessanta e Settanta. Da qui l’idea di ripubblicarli in versione integrale, anche se i fotogrammi originali sono andati perduti e si è dovuto scannerizzare vecchie copie rinvenute nei mercatini. Spiega Sprea: «Più della qualità delle facce degli attori, che sono state il segreto del successo di allora, ci ha colpito la freschezza di queste storie, le stesse che si vedono oggi in tv». Tornano così in edicola “Sogno” e “Kolossal”. Proprio di quest’ultimo abbiamo letto il numero del mese scorso, che ripropone una storia del 1978 con protagonisti Max Delys e Marina Coffa: “Adesso puoi lasciarmi…addio”. Sveva, ad un passo dal matrimonio col ricco Ermanno, viene a sapere che Sebastian, il suo ex fidanzato bohemien è ricoverato in ospedale dopo un’overdose. Sveva decide allora di aiutarlo a disintossicarsi, così torna a vivere l’amore che fu. Ma il percorso è difficile e Sebastian cade in tentazione, arrivando quasi a mettere le mani addosso a Sveva che aveva distrutto l’eroina procurata dal ragazzo. L’unica soluzione è ricoverarlo in una clinica, e Sveva sottrae i soldi al padre per pagarne una, finendo per prendere un letto a sua volta, pur di star vicino al suo vero amore Sebastian. È sicuramente una storia particolare, e desta stupore che in un fotoromanzo si affrontino temi del genere. Quel che colpisce è la differenza di registro tra il linguaggio “alto” di Sebastian l’artista e la “semplicità borghese” di Sveva. Certo, la raffigurazione del mondo della droga è molto stereotipata, però risulta funzionale al contesto editoriale e al messaggio di fondo, soprattutto. Sebastian infatti, “ha perso la corsa della vita a causa di quella robaccia”. Sveva accetta di scendere nei bassifondi dell’anima e della società pur di accompagnare il suo amato nel percorso di catarsi. Insomma, una storia inaspettatamente toccante.

Sveva, l’ingenua borghese, si avventura nei bassifondi e conosce il terribile spacciatore chiamato “Il turco”, che però sembra Bombolo Conclude l’editore Sprea: «Bisogna raccontare storie da film ma che siano verosimili, che possano accadere anche a te». E forse non succederà mai di trovarmi ad un tavolo a parlare di tramonto dell’arte informale e parassitismo borghese, ma se i fotoromanzi sono creati per sognare, ammetto di aver sognato. E allora l’esperimento è riuscito.


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CAMERIERA

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Francesco Vezzoli e il ritorno del fotoromanzo in edicola: «Siamo tutti cameriere che sognano l'amore» Ritorna in edicola dal 24 luglio per Sprea Editori «Sogno», la rivista che ha segnato un'epoca sdoganando i fotoromanzi in Italia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. Ne parliamo con l'artista Francesco Vezzoli, tra i sentimenti sgorgati dai falò di «Temptation Island» e il motto di Gianni Agnelli che diceva che l'amore era «per le cameriere» di Mario Manca 28 luglio 2020 Francesco Vezzoli e il ritorno del fotoromanzo in edicola «Siamo tutti cameriere che sognano l'amore»

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Sogno: il ritorno dei fotoromanzi «Quando ero adolescente sui giornali si leggeva sempre questa frase dell'Avvocato Agnelli che diceva che innamorarsi era una cosa da cameriere. Al di là del fatto che oggi sarebbe impronunciabile perché ritenuta politicamente e altamente scorretta, mi verrebbe da dire che oggigiorno siamo tutti diventati un po' cameriere». A parlare è Francesco Vezzoli, un artista che ha sempre destrutturato in maniera sapiente l'immaginario pop e che oggi discute con noi il ritorno in edicola di Sogno, la rivista fotoromanzesca che ha spopolato nell'Italia degli anni Cinquanta e che torna a partire dal 24 luglio per Sprea Editori. L'obiettivo è quello di rispolverare un mondo, quello del fotoromanzo, che, per dirla alla Vezzoli, ci ha fatto scoprire un po' tutti «cameriere» e che ha coltivato in noi non solo l'empatia per i divi, da Sophia Loren a Franco Gasparri, che prestavano il volto alle tavolette in bianco e nero di quelle pagine, ma anche la curiosità per quelle storie a puntate che hanno stregato gli italiani per più di un trentennio.

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Nato in Italia ed esportato in tutto il mondo, da sempre associato a una nota dispregiativa nonostante l'arte abbia riscoperto il suo valore restituendogli dignità solo in anni recenti - una copertina di Sogno degli anni Cinquanta con la Loren, al tempo conosciuta come Sofia Lazzari, è tuttora esposta al MoMa di New York -, il fotoromanzo diventa un mezzo vintage per indagare alcuni meccanismi ancora vivissimi oggi. «Ci innamoriamo, sbirciamo dai buchi della serratura tutti gli Instagram di quelli più belli e più ricchi di noi. Il mondo è diventato più vanitoso, superficialmente romantico, ed è per questo che il fatto di ripubblicare i fotoromanzi non mi stupisce» spiega Vezzoli, che risponde al telefono dalla Calabria, con una puntata di Don Matteo in sottofondo - «È una visione molto pacificante, specie se sei in vacanza. Poi c'è anche il maresciallo che è un bonazzo, e la cosa non guasta». Parlare del fotoromanzo, di titoli come Lancio e di personaggi iconici come Katiuscia, interpretata da Caterina Piretti, una delle dive più apprezzate del genere poi caduta nel baratro della droga fino alla conversione al buddismo e la rinascita, è un continuo rimando tra il passato e il presente, tra quello che sembra lontano anni luce e la consapevolezza che quel trascorso ha semplicemente cambiato forma, cucendosi addosso un vestito che pare nuovo ma è in tutto e per tutto riciclato. «D'altronde -continua Vezzoli - è vero che si sposano sempre meno persone, ma si continua a combattere perché tutti possano farlo: è lo specchio di un'esigenza d'amore, di un afflato amoroso, per usare una parola un po' nostalgica. L'ho spiegato anche nel progetto Love Stories che ho realizzato per la Fondazione Prada».

In cosa sopravvive il fotoromanzo oggi, secondo lei?«Se ci pensiamo, programmi come Temptation Island e Uomini e Donne, al di là del fatto che siano le propaggini di Agenzia Matrimoniale di Costanzo, hanno come fulcro la pura discussione dei sentimenti. Non si nomina un libro, un pittore o un partito politico: non si parla mai di fatti concreti, ma solo di come le persone vivono il sentimento. Se analizzassimo da un punto di vista sociologico la situazione mediatica attuale, ci accorgeremmo che siamo molto più sentimentali di quanto non lo fossimo prima».

Eppure il fotoromanzo, specie dai salotti bene, è sempre stato considerato in maniera dispregiativa, come il classico mezzo a uso e consumo delle masse.«È un filo rosso che parte da inizio secolo, ma che potremmo collocare ancora più indietro. Partiamo dai feuilleton: tutti lo leggono ma nessuno direbbe che è nobile letteratura. Colette, la J.K Rowling del primo Novecento, viene rinchiusa in casa dal marito e scrive novelle, alcune belle e altre più brutte. Poi viene Liala, ma anche i film di Materazzo, che sbancano il botteghino ma che non ottengono nessun riconoscimento accademico, così come tutto quel filone del cinema degli anni Cinquanta con Amadeo Lazzari e Yvonne Sanson, snobbato dalla critica nonostante mia nonna passasse i pomeriggi a piangere vedendo Figli di nessuno. Poi arrivano i fotoromanzi, le soap opera, sempre mossi dall'illusione di poter vivere l'amore su uno schermo, sulla carta stampata o su Instagram. Raramente questo bisogno viene riconosciuto dalla critica: le persone lo vedono, ma negherebbero in pubblico di farlo».

La cosa particolare, però, è che dive come Sophia Loren e Raffaella Carrà oggi non ricordano l'esperienza dei fotoromanzi con snobismo, ma con tenerezza.«Viviamo in un momento storico in cui tutti cercano di riconquistare il rapporto con i sentimenti popolari e di catturare le masse. Le élite oggi non interessano più a nessuno: il fatto che ritornino i fotoromanzi è fisiologico di questo».

Tra i fotoromanzi e i protagonisti che vi prendono parte, spesso la realtà supera la fantasia: come nel caso di Katiuscia, che nella vita reale sperimenta un ciclo di caduta e di rinascita che sembra scritto da uno sceneggiatore.«Ritengo interessantissimo vedere queste celebrità che valicano lo specifico del loro medium: dal punto di vista letterario, le loro sono vite molto interessanti, magari camminano per strada, passano di fronte all'indifferenza di molti, e poi incontrano uno che li abbraccia e piange al loro cospetto. Bisognerebbe fare un film su Katiuscia: se qualcuno me lo producesse, lo farei io».

Più che le storie in sé, a rimanere impressi sono soprattutto gli sguardi sospesi di questi divi, non crede?«Gli attori vengono costretti a utilizzare una loro naturale espressività prestandosi a una narrazione. Più che le sceneggiature, mi colpiscono questi volti che sembrano sempre persi dentro a un vuoto colmato dai dialoghi: se togliessimo le frasi, sembrerebbero le figure di un film di Antonioni».

A un certo punto il genere conquista la dignità artistica: lei come lo valuta questo processo?«Se è arte un fumetto, perché non può esserlo un fotoromanzo, un genere che ha dentro di sé la parola "romanzo", "romanza"? Se il fumetto è musica pop, il fotoromanzo è opera lirica. Qualsiasi cosa raggiunga il cuore delle persone è degna di analisi e va presa in considerazione. Quando, per esempio, ho ricamato lacrime sulle facce delle attrici, l'ho fatto perché nella storia dell'arte mi sembrava che quel sentimento fosse stato cancellato e volevo farlo rientrare dalla finestra. Oggi è la stessa cosa, solo che a rientrare dalla finestra è il fotoromanzo».

Ripubblicare i fotoromanzi oggi, nel 2020, non teme che possa solleticare una certa riscoperta del collezionismo mettendo da parte il puro consumo?«Io non sono un collezionista, mi affascina molto di più più la dipendenza emotiva del leggere. Se parliamo di collezionismo l'artista lo connette subito a qualche forma di speculazione mentre, per quanto riguarda i fotoromanzi, dovremmo essere molto più interessati a chi ha voglia di sfogliarli. Ci saranno persone con le case piene di vecchi numeri di Grand Hotel, ma mi intriga più una signora con un fotoromanzo in mano per chiederle perché lo legga».

Le «cameriere», insomma.«Se penso al trono eterosessuale di Uomini e Donne, con questi uomini che piangono e sdoganano l'emotività, capisco che sono questi gli sviluppi importanti: se fanno parte della nostra personalità, è giusto che non siano repressi. Se il fotoromanzo è lì per chi vuole sognare in quest'estate nella quale tutti abbiamo bisogno di sognare l'amore, ben venga. Al motto di "siamo tutti cameriere"‘.


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