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Qualcosa che si chiama onore Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Qualcosa che si chiama onore Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Il figlio rubato © Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Il figlio rubato © Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Gioventù Delusa 1967 © Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Gioventù Delusa 1967 © Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Gioventu delusa © Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Gioventu delusa © Droits réservés Arnoldo Mondadori editore Satanik extrait 1967 © Cliché Josselin Rocher Satanik extrait 1967 © Cliché Josselin Rocher Jordi Bover spectacle cie Royal de luxe 1987 © Jordi Bover Jordi Bover spectacle cie Royal de luxe 1987 © Jordi Bover Suivant Roman-Photo

Mucem, J4— Niveau 2 | Du mercredi 13 décembre 2017 au lundi 23 avril 2018 Présentation

L'exposition

Activités

Partenaires et mécènes

Téléchargements Derniers jours Derniers jours Derniers jours Derniers jours Le roman-photo a mauvaise presse. Le terme sous-entend tout à la fois la niaiserie sentimentale, la frivolité, ou encore l’ingénuité. À ce jour, il n’a que rarement retenu l’attention des historiens de l’image, et encore moins celle des musées et des centres d’art. Grave erreur ! Car le roman-photo a pourtant bien des choses à nous dire… et pas seulement des mots d’amour.

Né en 1947 en Italie, le roman-photo a constitué le plus gros succès éditorial de l’après-guerre, et restera pendant plus de vingt ans le best-seller de la littérature populaire en Méditerranée. Les lecteurs – en majorité des lectrices – se comptaient par millions ; les revues dans lesquelles ils étaient publiés passaient de main en main et c’est ainsi que dans les années soixante, on estime qu’un Français sur trois lisait des romans-photos.

Reconstituer ces petites mythologies sentimentales permet ainsi d’offrir une relecture originale de l’avènement de la société de consommation et de l’évolution des mœurs, tout autant qu’un regard décalé sur l'émancipation et la libération des femmes dans l’Europe méditerranéenne de la seconde moitié du XXe siècle.

C’est l’enjeu de l’exposition « Roman-Photo », qui réunit plus de 300 objets, films, photographies, documents, et, bien entendu, quelques-unes des plus belles réalisations de cet artisanat devenu en peu de temps une industrie culturelle de masse, dont certaines productions élaborées par des réalisateurs proches du néo-réalisme italien s’avèrent d’une qualité exceptionnelle.

Jalousies et trahisons, tendres baisers et cœurs brisés, décapotables et micro-ondes, Dolce Vita et lutte des classes : « Roman-Photo », un feuilleton riche en surprises, rebondissements et coups de foudre (esthétiques), à ne manquer sous aucun prétexte !


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SCEICCO

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Colloque de chiens / Le Cheik blanc Du cinéroman au roman-photo Cinéma Colloque de chiens De Raoul Ruiz (France, 1977, 20 min.)

Dans la banlieue parisienne, des chiens aboient et racontent l’histoire tragique et sanglante d’un enfant adoptif : un jour, à l’école, un camarade de Monique lui apprend que sa mère n’est pas sa vraie mère. Dès lors, plus rien ne sera jamais comme avant ; elle veut se venger. Jouir et dominer, tels vont désormais être les objectifs principaux de Monique.

Meurtres sordides, amours « contre-nature », cadavres découpés, révélations fracassantes… Une histoire telle qu’on pouvait en lire dans Détective ou Nous Deux, tournée comme un roman-photo.

Suivi de

Le Cheik blanc (Lo Sceicco bianco) De Federico Fellini (Italie, 1952, 1h23)

Wanda est une inconditionnelle des romans-photos et plus particulièrement de l’un de ses héros, le Cheik blanc, dont elle est amoureuse. Lors de son voyage de noces à Rome, elle parvient à fausser compagnie à son mari pour le rejoindre… Mais celui-ci ne correspond pas tout à fait à l’image qu’elle s’en était faite.

Premier film de Fellini (à partir d’un sujet écrit par Antonioni), Le Cheik blanc est une comédie grinçante démystifiant le monde à l’eau de rose des fotoromanzi, notamment à travers le traitement de son personnage principal, un héros de papier ridicule et caricatural, formidablement interprété par Alberto Sordi.

« (…) Fellini développe son propre univers, où les êtres humains sont des personnages grotesques, des acteurs minables de leur propre vie, égarés dans la réalité (“La vraie vie, c’est le rêve”, dit un personnage). »

Jean-Baptiste Morain, Les Inrockuptibles


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Riscopriamo il fotoromanzo. Era letteratura per immagini "Roman-Photo" raccoglie il meglio delle riviste popolari che hanno fatto sognare negli anni Cinquanta e Sessanta

Lei ha la testa di capelli biondi abbandonata sul cuscino, gli occhi chiusi, sapientemente disegnati dal trucco; lui, sbarbato di fresco, giacca scura, la bacia sulle labbra ancora serrate. È un fermo-immagine di Qualcosa che si chiama onore, storia pubblicata su Bolero Film, il rotocalco italiano uscito tra il 1950 e il 1975, la rivista prediletta dal pubblico femminile, ma seguita anche dagli uomini, che aveva accompagnato la trasformazione del nostro Paese dalle macerie del dopoguerra al boom economico.

Noi lo chiamiamo fotoromanzo, i francesi invertendo i termini Roman-Photo, a sottolineare che pur sempre di letteratura si tratta. Perché oltralpe per tutto il 900 i generi minori, le pratiche basse, sono stati considerati di pari dignità rispetto alla cultura alta e autoriale. Basti pensare, a esempio, ai dipinti di Francis Picabia degli anni '40, copiati a piè pari da giornaletti da barberia ad alto tasso erotico; oppure a quanto la Nouvelle Vague debba al noir e al polar, versioni europee del cinema poliziesco made in USA.

Roman-Photo è il titolo di una bellissima mostra, allestita presso il Mucem di Marsiglia (una vera capitale del Mediterraneo, moderna e multiculturale, così lontana dalle suggestioni nostalgiche di Jean-Claude Izzo) fino ad aprile. Letteratura per immagini, dunque, che i francesi fanno risalire alla tradizione dei romanzi di Balzac pubblicati a puntate e che trovano nell'utilizzo della fotografia il mezzo più adatto quando si parla di emozioni forti, sensazioni che vengono dal cuore. Francia e Italia, con modulazioni appena differenti, hanno sviluppato questo fortunato filone della paraletteratura almeno fino a quando la stampa riusciva a prevalere sulla televisione. E proprio insieme al piccolo schermo, l'editoria popolare ha giocato un ruolo determinante nel processo di alfabetizzazione dei cittadini.

In queste storie fondate comunque sulla realtà le parole d'ordine rivelano i caratteri primari di un Paese rileggendone in maniera paradigmatica usi e costumi nella fase evolutiva: passione, seduzione, Dolce Vita, gelosia, abbandono, fatalità, dramma, rottura, tradimento, benedizione, amore, violenza, coppia, benessere, adulterio, incontro, voluttà. Il fotoromanzo è stato il più grande successo editoriale del dopoguerra: sequenze fotografiche commentate da storie in piccoli fumetti, le nuvolette. In Italia arriva prima, in Francia si sviluppa negli anni '60 (un francese su tre ne era avido lettore), eppure solo oggi viene considerata alla stregua di una forma d'arte anche per la rarità collezionistica. Niente affatto accomodante, per nulla scontato il lieto fine, i racconti passano da ambienti rurali alle metropoli, complicando i conflitti interiori di personaggi che si muovono spesso indifferenti alla morale comune, dove protagonista è l'amore malato, complicato in triangoli sentimentali, passioni indicibili, figli illegittimi, sofferenze e lacrime. Se allora gli intellettuali li trovavano stupidi, i cattolici immorali e i comunisti anestetizzanti, oggi i fotoromanzi si sono presi una bella rivincita, poiché buona parte delle serie tv non ne sono che l'ideale evoluzione e scatenano lo stesso tipo di fanatismo.

Le nostre nonne compravano Bolero Film, edito da Mondadori, ogni settimana, seguendo storie di titoli roboanti: Il giorno dell'odio, La montagna della peccatrice, Il figlio rubato. C'entra, non poco, l'estetica del cinema neorealista se è pur vero che il giovane Michelangelo Antonioni, nel 1949, prima del debutto ufficiale, realizzava L'amorosa menzogna, documentario di 10 minuti con due star del fotoromanzo, Anna Vita e Sergio Raimondi. Le nonne francesi, invece, leggevano Nous Deux, fondato nel 1947 peraltro da un italiano, quel Cino Del Duca considerato il padre della stampa sentimentale; una versione più buonista, colorata ed edificante rispetto alle edizioni nostrane.

Storie molto spesso anticonformiste, a cominciare dalla messa in crisi del matrimonio borghese. Le donne -una certa Sofia Lazzaro, star di Sogno, e non ancora Sophia Loren, oppure Dalida, Sylvie Vartan- se vogliono il maschio se lo prendono; gli uomini - il Johnny Hallyday, eroe de La belle avventure de Johnny- si vestono bene, guidano auto sportive, disprezzano le convenzioni borghesi. Certo ai francesi non manca mai l'approccio intellettuale e snob; persino i Situazionisti di Guy Debord considerano il Roman Photo l'arte d'avanguardia dei loro tempi, ci giocano, lo trasformano in strumento sovversivo a partire dai nudi (femminili) esposti generosamente.

Non c'è sottogenere che la narrativa popolare non abbia affrontato negli sviluppi successivi (sono gli stessi anni in cui il cinema di genere ottiene un successo planetario): dal melodramma alla storia, dall'horror erotico di Satanik (Killing in Francia), materializzazione delle pulsioni e dei vizi più nascosti, non escluso il sadomasochismo, alla quasi pornografia di Supersex che ci ha regalato uno dei primi divi hard, il mitico Gabriel Pontello. Prima della rivoluzione video degli anni '70, le riviste erotiche erano infatti l'unico mezzo possibile di consumo del porno, comprato di nascosto in edicola, nascondendolo tra le pagine lecite de L'Espresso e di Liberation.

Ambientato nel West o nei paesaggi esotici. Strumento di propaganda elettorale, tra '58 e '64 il Pci diede il proprio benestare alla pubblicazione della serie Cuore di emigranti, dove i giovani votavano senza indugi Partito Comunista.

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MOSTRA

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Esposizione per Fotografia Europea 2018 a cura di ICS – Innovazione Cultura Società (Stefania Carretti, Lorenzo Immovilli, Elisa Savignano)

Fotoromanzo e poi… ripercorre oltre trent’anni di un fenomeno culturale di massa, una delle tante piccole “rivoluzioni” silenziose che, per la frivolezza e apparente ingenuità sentimentale che esprimeva, è stata generalmente sottovalutata dagli storici della cultura e dal mondo intellettuale.

Con il tempo si è però compreso che il fotoromanzo ha a suo modo contribuito in maniera incisiva ad accelerare il processo di alfabetizzazione nel nostro paese facendo sognare milioni di italiane che di settimana in settimana si dedicavano alla lettura di passionali e travolgenti vicende sentimentali. Se letto nel contesto sociale e storico dell’epoca, si tratta di un genere che ha puntualmente fotografato il costume e la società del nostro paese, accompagnando il difficile percorso di emancipazione delle donne italiane: dalle storie post-belliche di ambientazione neo-realista, alla rappresentazione dei conformisti anni ‘50 che volevano la donna di nuovo regina del focolare, fino alla liberazione sessuale e alle leggi che hanno consentito alle donne di conquistare potere di decisione sul proprio corpo.

La mostra si compone di una parte storico-documentaria e di una produzione creata ad hoc. La prima parte, realizzata con la consulenza di Silvana Turzio, comprende materiali provenienti dalla Biblioteca Panizzi (cineromanzi, foto-buste, carteggi e soggetti dall’Archivio Cesare Zavattini), dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (materiali preparatori e fotografie da negativi di fotoromanzi per Bolero Film), dalla Sovrintendenza per i Beni Culturali di Trento (fotografie di Federico Vender), dall’Istituto Luce (filmati da cinegiornali e il documentario L’amorosa menzogna di Michelangelo Antonioni) e prestiti da collezionisti privati (come il fotoromanzo sociale del Gruppo Strum, quello satirico de Il Male, quello politico-propagandistico del PCI o i fotoromanzi di Noi Donne e quelli a sostegno dell’emancipazione femminile) per illustrare l’evolversi di questo genere sia dal punto di vista del linguaggio che come termometro dei cambiamenti sociali.

La produzione invece trae ispirazione da un soggetto per fotoromanzo scritto nel 1961 da Cesare Zavattini, tra i pochi autori a intuire le potenzialità di questo genere a cavallo tra fotografia, cinema e fumetto. #NESSUNACOLPA, questo il titolo del fotoromanzo da “sfogliare” su Instagram, è un sequel ambientato nel presente, un un moderno feuilleton da seguire, una puntata al giorno, per un intero mese a partire dal 20 aprile.

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Con il tempo si è però compreso che il fotoromanzo ha a suo modo contribuito in maniera incisiva ad accelerare il processo di alfabetizzazione nel nostro paese facendo sognare milioni di italiane che di settimana in settimana si dedicavano alla lettura di passionali e travolgenti vicende sentimentali. Se letto nel contesto sociale e storico dell’epoca, si tratta di un genere che ha puntualmente fotografato il costume e la società del nostro paese, accompagnando il difficile percorso di emancipazione delle donne italiane: dalle storie post-belliche di ambientazione neo-realista, alla rappresentazione dei conformisti anni ‘50 che volevano la donna di nuovo regina del focolare, fino alla liberazione sessuale e alle leggi che hanno consentito alle donne di conquistare potere di decisione sul proprio corpo.

La mostra si compone di una parte storico-documentaria e di una produzione creata ad hoc. La prima parte, realizzata con la consulenza di Silvana Turzio, comprende materiali provenienti dalla Biblioteca Panizzi (cineromanzi, foto-buste, carteggi e soggetti dall’Archivio Cesare Zavattini), dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (materiali preparatori e fotografie da negativi di fotoromanzi per Bolero Film), dalla Sovrintendenza per i Beni Culturali di Trento (fotografie di Federico Vender), dall’Istituto Luce (filmati da cinegiornali e il documentario L’amorosa menzogna di Michelangelo Antonioni) e prestiti da collezionisti privati (come il fotoromanzo sociale del Gruppo Strum, quello satirico de Il Male, quello politico-propagandistico del PCI o i fotoromanzi di Noi Donne e quelli a sostegno dell’emancipazione femminile) per illustrare l’evolversi di questo genere sia dal punto di vista del linguaggio che come termometro dei cambiamenti sociali.

La produzione invece trae ispirazione da un soggetto per fotoromanzo scritto nel 1961 da Cesare Zavattini, tra i pochi autori a intuire le potenzialità di questo genere a cavallo tra fotografia, cinema e fumetto. #NESSUNACOLPA, questo il titolo del fotoromanzo da “sfogliare” su Instagram, è un sequel ambientato nel presente, un un moderno feuilleton da seguire, una puntata al giorno, per un intero mese a partire dal 20 aprile.

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COMUNISMO

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Cinque milioni di copie: sono quelle denunciate dal film di Michelangelo Antonioni L’amorosa menzogna. Così, secondo il regista vendevano i fotoromanzi, storie d’amore in fumetti che narravano la società italiana e la voglia di lasciarsi le macerie alle spalle.

Forse bisognerà contarne qualche milione in meno, ma certo la loro diffusione dagli anni 50 fu capillare e, in una società che cercava di risollevarsi dalla guerra, finirono per nutrire un immaginario di desideri proibiti, in bilico tra tentazioni reazionarie e altre ribelliste, creando una carrellata di divi di carta che invadevano i chioschi dei giornalai e i soggiorni delle case.

La mostra Fotoromanzo e poi, allo Spazio Gerra di Reggio Emilia, inauguratasi nell’ambito del Festival europeo di fotografia (a cura di Associazione Ics e Laura Gasparini, visitabile fino al 17 giugno) narra la biografia di un prodotto editoriale che, nonostante l’avvento del web e delle storie effimere pubblicate su Istagram, non ha ancora visto la sua fine, rinascendo a nuova vita in riviste, su internet e diventando materia di studio per gli accorgimenti grafici, il «montaggio delle emozioni», la fabbricazione del mito, il taglio espressionista delle immagini (alternanza primi piani, campi lunghi, esterni/interni, etc).

È così contemporaneo che si è pensato di continuarlo pure in mostra, dando l’avvio a un racconto digitale che riproduce oggi un soggetto di Cesare Zavattini scritto per la Bolero Film nel 1961 e subito trasformatosi in un fotoromanzo a puntate col titolo La colpa (con happy end non previsto nell’originale). Il testo dattiloscritto di Zavattini è stato ripescato dagli archivi della sua fondazione nella biblioteca Panizzi. Il tema snocciolato è attualissimo: al centro degli accadimenti, c’è uno stupro e l’isolamento sociale che ne consegue per la ragazza-vittima, marchiata d’infamia.

Ma la rassegna, assai ben congegnata, offre l’occasione per addentrarsi nelle tumultuose vicende politiche del fotoromanzo, da Famiglia Cristiana a Noi donne fino al Pci. Paola Pitagora, per esempio, ne Il segreto propagandava l’uso contraccettivo della pillola. Il partito comunista ebbe un atteggiamento controverso nei riguardi dei fotoromanzi.

Da una parte, furono considerati prodotti di sottocultura di derivazione americana, dall’altra suscitarono interesse come mezzo di comunicazione leggero e invasivo, che facilmente raggiungeva le zone rurali. Come il fotoromanzo siciliano Per chi vota Caterina Pipitone (1953) che testimoniava il disagio delle classi meno abbienti per favorire il Pci alle elezioni. O, fra gli altri, L’amore vince sempre del ’55 che si diffuse a Roma come opuscolo di propaganda.

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AMOROSA

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Nel 1949 Michelangelo Antonioni realizza, con lo stile del reportage, L’amorosa menzogna, un cortometraggio che racconta gli esordi e l’enorme diffusione dei fotoromanzi nella società italiana del dopoguerra, alternando notazioni ironiche a testimonianze scritte delle ammiratrici di questi eroi di carta, e mostrando i set dove si ideavano gli scenari di fiaba di queste storie sognanti, i cui protagonisti creavano poi piccole folle di lettrici entusiaste ad ogni loro apparizione. Vincitore del Nastro d’Argento per il migliore documentario nel 1950, il cortometraggio si avvale dell’opera di Citto Maselli come aiuto regista e delle musiche, davvero azzeccate, di Giovanni Fusco. Il soggetto originale, di Antonioni stesso, verrà poi affidato a Federico Fellini, che lo svilupperà e amplierà dando vita al suo primo lungometraggio ufficiale (dopo una regia in coabitazione con Alberto Lattuada in Luci del varietà), Lo Sceicco bianco.

FOTOROMANZO

Nato in Italia nel 1946 e poi diffusosi rapidamente in Europa e in America latina, il fotoromanzo è un racconto in sequenze visive disegnate o fotografate che si regge sulla combinazione di diverse fonti e tecniche. La sua popolarità, immediata e fragorosa, è tale da farne il vero boom editoriale del dopoguerra italiano. Giovane, femminile più che maschile, proletario, contadino o piccolissimo borghese più che appartenente alla classe media, il suo pubblico è fra i meno raggiungibili dagli altri mezzi di comunicazione. Apre la strada "Grand Hôtel", seguito da "Bolero Film" e "Sogno". Tra la fine degli anni '40 e gli inizi degli anni '60 il fotoromanzo rappresenta una delle vie italiane alla modernizzazione, in cui si rispecchia il desiderio di libertà e di promozione sociale, il decollo dei consumi, il disagio giovanile, l'alfabetizzazione di massa. Ed è un punto fermo nell'immaginario nazionale, tanto che Pci, "Famiglia Cristiana", ordini religiosi, movimenti politici lo usano, adattandolo a narrazioni pedagogiche e di propaganda.

Racconto in posa

Storia a metà strada tra fumetto e cinema, con fotografie e attori al posto dei disegni, il fotoromanzo nacque in Italia nell'immediato secondo dopoguerra e divenne ben presto un nuovo genere di letteratura popolare. Dal nostro paese si diffuse in tutto il mondo e registrò un incredibile successo per quarant'anni, fino a quando venne soppiantato da nuovi generi di intrattenimento televisivo Era la nascita di un nuovo mezzo di comunicazione che narrava per immagini fotografiche: il fotoromanzo (inizialmente il nuovo giornale si definì "settimanale di romanzi d'amore a fotogrammi"). Dopo pochi giorni un altro grande editore italiano, Arnoldo Mondadori, pubblicò un giornale di fotoromanzi il cui titolo era Bolero film. Il titolo era azzeccato, perché in fondo il fotoromanzo era simile a un film, solo che le immagini erano immobili e le fotografie stampate su carta. Molte erano storie d'amore, ma altre erano riprese da romanzi famosi, come i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni o I miserabili di Victor Hugo; altre dalla Bibbia; altre ancora erano inventate da celebri soggettisti.

Milioni di copie Il successo dei fotoromanzi fu grandissimo: milioni di copie vendute ogni settimana. Nel giro di pochi anni nacquero moltissimi altri giornali e riviste. Tra queste ricordiamo il famoso Grand Hotel, un giornale che già esisteva ma che raccontava storie d'amore con fumetti tradizionali. Il successo fu tale che i partiti politici lo usarono come mezzo pubblicitario nelle campagne elettorali. La guerra era appena finita, l'Italia era povera, le persone sapevano leggere poco. Il fotoromanzo presentava storie semplici ma coinvolgenti, l'amore e l'avventura erano al centro delle trame e i personaggi risultavano positivi, sempre belli, eleganti. La gente si rifugiava in quelle storie per evadere dalla realtà dell'epoca e proiettarsi in un mondo bello e pulito, quello che un giorno sperava di poter realizzare. Nacque così una vera e propria industria del fotoromanzo. Inizialmente i costumi e gli ambienti erano molto approssimativi, ma in seguito si resero necessarie scenografie create all'interno di appositi teatri di posa. C'erano poi il montaggio, il fotomontaggio, la cura della fotografia a volte ritoccata, la stampa su carta adatta. A partire dagli anni Sessanta una casa editrice di Roma, la Lancio (si chiamava così perché prima stampava foglietti pubblicitari da lanciare con gli aerei), investì molto sul fotoromanzo. A interpretare le parti furono chiamati addirittura personaggi già famosi nel campo dello spettacolo (ricordiamo Giorgio Albertazzi, Renzo Arbore, Claudia Cardinale, Raffaella Carrà, Giuliano Gemma, Sandra Milo), mentre altri lo sarebbero diventati in seguito (Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Ornella Muti).

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Nato in Italia nel 1946 e poi diffusosi rapidamente in Europa e in America latina, il fotoromanzo è un racconto in sequenze visive disegnate o fotografate che si regge sulla combinazione di diverse fonti e tecniche. La sua popolarità, immediata e fragorosa, è tale da farne il vero boom editoriale del dopoguerra italiano. Giovane, femminile più che maschile, proletario, contadino o piccolissimo borghese più che appartenente alla classe media, il suo pubblico è fra i meno raggiungibili dagli altri mezzi di comunicazione. Apre la strada "Grand Hôtel", seguito da "Bolero Film" e "Sogno". Tra la fine degli anni '40 e gli inizi degli anni '60 il fotoromanzo rappresenta una delle vie italiane alla modernizzazione, in cui si rispecchia il desiderio di libertà e di promozione sociale, il decollo dei consumi, il disagio giovanile, l'alfabetizzazione di massa. Ed è un punto fermo nell'immaginario nazionale, tanto che Pci, "Famiglia Cristiana", ordini religiosi, movimenti politici lo usano, adattandolo a narrazioni pedagogiche e di propaganda.

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Storia a metà strada tra fumetto e cinema, con fotografie e attori al posto dei disegni, il fotoromanzo nacque in Italia nell'immediato secondo dopoguerra e divenne ben presto un nuovo genere di letteratura popolare. Dal nostro paese si diffuse in tutto il mondo e registrò un incredibile successo per quarant'anni, fino a quando venne soppiantato da nuovi generi di intrattenimento televisivo Era la nascita di un nuovo mezzo di comunicazione che narrava per immagini fotografiche: il fotoromanzo (inizialmente il nuovo giornale si definì "settimanale di romanzi d'amore a fotogrammi"). Dopo pochi giorni un altro grande editore italiano, Arnoldo Mondadori, pubblicò un giornale di fotoromanzi il cui titolo era Bolero film. Il titolo era azzeccato, perché in fondo il fotoromanzo era simile a un film, solo che le immagini erano immobili e le fotografie stampate su carta. Molte erano storie d'amore, ma altre erano riprese da romanzi famosi, come i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni o I miserabili di Victor Hugo; altre dalla Bibbia; altre ancora erano inventate da celebri soggettisti.

Milioni di copie Il successo dei fotoromanzi fu grandissimo: milioni di copie vendute ogni settimana. Nel giro di pochi anni nacquero moltissimi altri giornali e riviste. Tra queste ricordiamo il famoso Grand Hotel, un giornale che già esisteva ma che raccontava storie d'amore con fumetti tradizionali. Il successo fu tale che i partiti politici lo usarono come mezzo pubblicitario nelle campagne elettorali. La guerra era appena finita, l'Italia era povera, le persone sapevano leggere poco. Il fotoromanzo presentava storie semplici ma coinvolgenti, l'amore e l'avventura erano al centro delle trame e i personaggi risultavano positivi, sempre belli, eleganti. La gente si rifugiava in quelle storie per evadere dalla realtà dell'epoca e proiettarsi in un mondo bello e pulito, quello che un giorno sperava di poter realizzare. Nacque così una vera e propria industria del fotoromanzo. Inizialmente i costumi e gli ambienti erano molto approssimativi, ma in seguito si resero necessarie scenografie create all'interno di appositi teatri di posa. C'erano poi il montaggio, il fotomontaggio, la cura della fotografia a volte ritoccata, la stampa su carta adatta. A partire dagli anni Sessanta una casa editrice di Roma, la Lancio (si chiamava così perché prima stampava foglietti pubblicitari da lanciare con gli aerei), investì molto sul fotoromanzo. A interpretare le parti furono chiamati addirittura personaggi già famosi nel campo dello spettacolo (ricordiamo Giorgio Albertazzi, Renzo Arbore, Claudia Cardinale, Raffaella Carrà, Giuliano Gemma, Sandra Milo), mentre altri lo sarebbero diventati in seguito (Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Ornella Muti).


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