INVERNO

FOTOROMANZO - TESTO

BOZZA IBRIDA

INVERNO

GIORGIO VIALI


Foto 1:
Chiara, in un momento di riflessione, mentre guarda fuori dalla finestra.
"Ciao, allora io ho avuto modo di pensarci bene e sono giunta alla conclusione che non credo ne valga la pena al momento."


Foto 2:
Chiara intenta a lavorare al computer, circondata da documenti e caffè.
"Mi chiamo Chiara e la mia vita è un vortice di impegni. Ho due affittacamere nel centro di Bologna e gestisco anche il bar del mio fidanzato."


Foto 3:
Una scena del bar, con clienti sorridenti e Chiara che prepara caffè.
"Ogni giorno, mi sveglio all’alba per organizzare le prenotazioni, controllare la pulizia delle stanze e preparare i caffè per i clienti."


Foto 4:
Chiara seduta al tavolo, pensierosa, con il computer aperto davanti a sé.
"Il poco tempo libero che riesco a ritagliarmi lo passo al computer, cercando di mettere ordine in una vita che sembra non volerne sapere di fermarsi."


Foto 5:
Chiara che guarda delle foto sullo schermo, con un'espressione di incertezza.
"Quando ho ricevuto la proposta di partecipare a un servizio fotografico, mi sono sentita lusingata, ma anche sopraffatta."


Foto 6:
Un primo piano di Chiara, che riflette sulla sua immagine.
"Ho guardato le foto del fotografo, e mi sono resa conto che la mia immagine non si adattava a quella realtà."


Foto 7:
Chiara che si guarda allo specchio, mostrando segni e imperfezioni.
"Ogni curva, ogni segno, ogni piccola imperfezione che porto con me racconta una storia, ma non so se sarei pronta a esporle."


Foto 8:
Chiara avvolta in un caldo maglione, mentre guarda la strada innevata.
"Il freddo dell’inverno, poi, non aiuta. Non posso permettermi di ammalarmi, soprattutto ora che le mie strutture sono quasi sempre piene."


Foto 9:
Chiara mentre scrive un messaggio sul telefono, con espressione determinata.
"Quando ho scritto il messaggio, ho cercato di essere chiara. La proposta era allettante, ma la realtà della mia vita mi impedisce di immaginarla."


Foto 10:
Chiara in compagnia di un amico, durante un servizio fotografico.
"In realtà, già collaboro con un amico di famiglia per dei servizi fotografici. È un professionista e sa come gestire ogni dettaglio."


Foto 11:
Scena di Chiara e il fotografo che lavorano insieme, sorridendo.
"Lui viene a prendermi, trova location adatte, e mi riporta a casa dopo una giornata di scatti. È tutto molto organizzato."


Foto 12:
Chiara scrivendo un messaggio, con espressione pensierosa.
“Non è un no definitivo”, ho aggiunto nel messaggio, ma sentivo che in questo momento non era il caso di avventurarmi in qualcosa di nuovo."


Foto 13:
Chiara che guarda il computer, con un sorriso malinconico.
"La vita è già abbastanza frenetica, e non voglio aggiungere ulteriore caos. La mia scelta era dettata dalla necessità di proteggere il mio equilibrio."


Foto 14:
Chiara mentre chiude il computer, con una sensazione di serenità.
"A volte, però, mi chiedo se l’occasione di esprimere me stessa in un modo diverso mi sfuggirà per sempre."


Foto 15:
Un'immagine di Chiara che sorride, mentre si allontana dal computer.
"Ma, per ora, la mia vita, con i suoi impegni e le sue responsabilità, ha bisogno della mia attenzione. E, mentre chiudo il computer, sento che ho fatto la scelta giusta."


FOTOROMANZO - TESTO

BOZZA IBRIDA

INVERNO

GIORGIO VIALI

CHOICE

FOTOROMANZO

BOZZA IBRIDA

GIORGIO VIALI


Foto 1

Soggetti: Chiara, un’amica (Sara)
Location: Cucina di Chiara
Scena: Chiara e Sara sono sedute al tavolo della cucina, circondate da tazze di caffè e biscotti.
Outfit: Chiara indossa una maglietta comoda e leggings, Sara un maglione oversize.
Didascalia: "Un caffè tra amiche."
Dialogo: Chiara: "Ciao, allora io ho avuto modo di pensarci bene..."

Foto 2

Soggetti: Chiara
Location: Sala da pranzo di Chiara
Scena: Chiara guarda fuori dalla finestra, pensierosa.
Outfit: Maglietta con un cardigan.
Didascalia: "Riflettendo sulle scelte."
Dialogo: "La mia vita è un vortice di impegni."

Foto 3

Soggetti: Chiara
Location: Ufficio di Chiara
Scena: Chiara è al computer, scrivendo un messaggio.
Outfit: Blusa elegante e jeans.
Didascalia: "Il lavoro non si ferma mai."
Dialogo: "Devo essere chiara nel messaggio."

Foto 4

Soggetti: Chiara
Location: Bar del fidanzato
Scena: Chiara sta preparando caffè per i clienti.
Outfit: Grembiule del bar e t-shirt.
Didascalia: "La mia passione per il caffè."
Dialogo: "Ogni caffè è un sorriso."

Foto 5

Soggetti: Clienti al bar
Location: Bar del fidanzato
Scena: Clienti sorridenti mentre ricevono il caffè.
Outfit: Casual.
Didascalia: "Il calore della comunità."
Dialogo: Cliente: "Grazie, Chiara!"

Foto 6

Soggetti: Chiara e Sara
Location: Tavolo della cucina
Scena: Chiara spiega la sua indecisione a Sara.
Outfit: Abbigliamento comodo.
Didascalia: "Confidarsi è importante."
Dialogo: Chiara: "Non so se sono pronta a mostrarmi."

Foto 7

Soggetti: Chiara
Location: Camera di Chiara
Scena: Chiara guarda delle foto di modelle sul computer.
Outfit: Pigiama.
Didascalia: "La bellezza ideale."
Dialogo: "Non mi riconosco in queste immagini."

Foto 8

Soggetti: Chiara
Location: Specchio della camera
Scena: Chiara si guarda nello specchio, insoddisfatta.
Outfit: Abito casual.
Didascalia: "Accettare le proprie imperfezioni."
Dialogo: "Ogni curva racconta una storia."

Foto 9

Soggetti: Chiara e Sara
Location: Cucina
Scena: Sara cerca di incoraggiare Chiara.
Outfit: Maglione e jeans.
Didascalia: "Supporto tra amiche."
Dialogo: Sara: "Non dovresti aver paura di mostrarti."

Foto 10

Soggetti: Chiara
Location: Ufficio
Scena: Chiara che guarda il calendario pieno di impegni.
Outfit: Formale ma comoda.
Didascalia: "La vita frenetica."
Dialogo: "Devo trovare tempo per tutto."

Foto 11

Soggetti: Chiara e il fotografo (Marco)
Location: Location di un servizio fotografico
Scena: Chiara parla con Marco, il fotografo.
Outfit: Vestito elegante.
Didascalia: "Lavoro professionale."
Dialogo: Marco: "Sei perfetta per questo progetto."

Foto 12

Soggetti: Chiara
Location: Bar
Scena: Chiara serve un cliente.
Outfit: Grembiule del bar.
Didascalia: "Passione e dedizione."
Dialogo: Chiara: "Ecco il tuo caffè!"

Foto 13

Soggetti: Chiara
Location: Camera
Scena: Chiara chiude il computer, visibilmente sollevata.
Outfit: Comodo.
Didascalia: "La scelta giusta."
Dialogo: "Ho fatto la scelta giusta."

Foto 14

Soggetti: Chiara e Sara
Location: Cucina
Scena: Le due amiche brindano con tazze di caffè.
Outfit: Casual.
Didascalia: "Brindisi tra amiche."
Dialogo: Sara: "A noi e alle nostre scelte!"

Foto 15

Soggetti: Chiara
Location: Bar
Scena: Chiara sorride mentre interagisce con i clienti.
Outfit: Grembiule e t-shirt.
Didascalia: "Il sorriso è contagioso."
Dialogo: Chiara: "Buongiorno a tutti!"

Foto 16

Soggetti: Chiara
Location: Ufficio
Scena: Chiara legge un messaggio di risposta dalla fotografa.
Outfit: Blusa e pantaloni.
Didascalia: "Aspettando una risposta."
Dialogo: "Speriamo che capisca."

Foto 17

Soggetti: Chiara
Location: Giardino di casa
Scena: Chiara si gode un momento di relax all’aria aperta.
Outfit: Abbigliamento estivo.
Didascalia: "Prendersi una pausa."
Dialogo: "A volte, è bello fermarsi."

Foto 18

Soggetti: Chiara e il fidanzato
Location: Bar
Scena: Chiara e il fidanzato si scambiano un sorriso affettuoso.
Outfit: Casual.
Didascalia: "Sostegno reciproco."
Dialogo: Fidanzato: "Sei fantastica come sei."

Foto 19

Soggetti: Chiara
Location: Ufficio
Scena: Chiara scrive nel suo diario.
Outfit: Comodo.
Didascalia: "Riflessioni personali."
Dialogo: "Spero di non perdere altre occasioni."

Foto 20

Soggetti: Chiara
Location: Soglia di casa
Scena: Chiara chiude la porta, soddisfatta della sua giornata.
Outfit: Comodo, ma curato.
Didascalia: "Una giornata ben spesa."
Dialogo: "Oggi ho fatto ciò che è giusto per me."


FOTOROMANZO

BOZZA IBRIDA

GIORGIO VIALI

FOTOROMANZO

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FOTOROMANZO

PROGETTO IN CORSO: FOTOROMANZO

DA UN'IDEA DI GIORGIO VIALI

CERCASI SCENEGGIATRICE/SCENEGGIATORE

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PROGETTO ZERO BUDGET

VICENZA, VERONA, PADOVA, TREVISO

CONTATTI:

INSTAGRAM: GIORGIOVIALI

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GIORGIOVIALI@GMAIL.COM

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Il documento fornisce un'analisi approfondita del manuale "Istruzioni pratiche per la realizzazione del fotoromanzo" di Ennio Jacobelli, pubblicato nel 1956. Il testo esplora le origini e lo sviluppo del fotoromanzo in Italia, le sue caratteristiche, la questione dell'autorialità e il contesto culturale in cui si inserisce.

Informazioni Chiave:

  • Autori dell'analisi: Jan Baetens, Carmen Van den Bergh, Bart Van den Bossche.
  • Titolo del manuale: "Istruzioni pratiche per la realizzazione del fotoromanzo".
  • Autore del manuale: Ennio Jacobelli.
  • Anno di pubblicazione: 1956.
  • Editore: Editrice Politecnica Italiana.

Contesto Storico:

  • Il fotoromanzo è un ibrido tra fumetto e cinema, emerso nel 1946 con la rivista "Grand Hotel", e ha raggiunto una grande popolarità negli anni '50 e '60.
  • Nonostante la qualità spesso bassa del fotoromanzo (fotografia scadente, recitazione poco professionale), ha avuto un impatto significativo sulla cultura popolare, in particolare per il pubblico femminile.
  • Il fotoromanzo si è evoluto da un format inizialmente disegnato (drawn novel) a uno basato su fotografie.

Caratteristiche del Fotoromanzo:

  • I fotoromanzi sono frutto di un lavoro collettivo, ma spesso i creatori non sono accreditati.
  • Il manuale di Jacobelli si propone di fornire istruzioni pratiche e tecniche, evidenziando la produzione di fotoromanzi come un'operazione lavorativa piuttosto che artistica.
  • La forma del fotoromanzo è influenzata da altri media, come il cinema e i fumetti.

Questioni di Autorialità:

  • Il fotoromanzo è caratterizzato da un'autorialità collettiva, in cui il periodico che commissiona il lavoro ha un ruolo centrale.
  • La mancanza di crediti individuali per i creatori riflette il basso status del fotoromanzo nella gerarchia culturale.

Apprendistato nel Fotoromanzo:

  • L'apprendimento per diventare "fotoromanzieri" è pratico e informale, spesso basato sull'osservazione e sull'esperienza diretta, piuttosto che su un'istruzione formale.

Analisi del Manuale di Jacobelli:

  • Il manuale non fornisce contenuti melodrammatici tipici del fotoromanzo, ma si concentra su situazioni ordinarie, evitando il sensazionalismo.
  • Le istruzioni seguono una logica "passo a passo", ma le rappresentazioni visive non riflettono le pratiche reali e dinamiche del fotoromanzo.
  • Jacobelli evidenzia gli aspetti tecnici della produzione, ma la sua rappresentazione risulta più simile a un "fotoromanzo all'acqua di rose", privo della passione e delle emozioni tipiche del genere.

Riflessioni Finali:

  • L'analisi conclude che il manuale di Jacobelli, pur essendo un testo tecnico, offre spunti sulla cultura sociale e le aspirazioni del periodo, rivelando tensioni tra le aspettative editoriali e le esperienze dei creatori.
  • La rappresentazione di situazioni quotidiane e la mancanza di elementi melodrammatici possono essere interpretate come un tentativo di rendere il fotoromanzo più accessibile e meno elitario, ma anche come un riflesso delle dinamiche sociali dell'epoca.

Questa sintesi evidenzia le principali tematiche e riflessioni emerse dallo studio del manuale e del contesto culturale in cui si inserisce, fornendo una comprensione più ampia del fenomeno del fotoromanzo.

FOTOROMANZO

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PROGETTO IN CORSO: FOTOROMANZO

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DIPENDENZA

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Il fotoromanzo: una droga legaleDieci milioni di lettori per un'autentica contraffazione della realtà

Il fotoromanzo: una droga legale

Bastano venti giorni per fare un fotoromanzo; e costa dai 15 ai 20 milioni - Fu un trampolino di lancio per futuri attori celebri - Più lettrici che lettori: operaie, casalinghe, domestiche - Delitti, intrighi a sfondo erotico, smania di denaro e di potere, gelosia, sensualità; ma si rasenta abilmente il Codice senza violarlo Una funzione mitica: le lettrici si identificano in ciò che leggono, i lettori ne fanno oggetto di desiderio

La formula è semplice, la realizzazione agevole, il successo garantito. Ci sono un «lui» e una «lei», gli altri e le altre. «Lui» è simpatico, piuttosto giovane ma non troppo, abbastanza aitante, professione suggestiva. «Lei» è attraente, alquanto più giovane di «lui», alta, personalità spiccata ma arrendevole in amore. Gli altri e le altre gravitano intorno a «lei» e «lui» come pianeti intorno al sole. «Clic», si gira. Il fotoromanzo è pronto in pochi giorni. Lo leggono milioni di italiani e di stranieri, dal Brasile alla Francia, dall'Argentina alla Germania, dal Sud America all'Africa del Nord. È un giro di miliardi di lire, di milioni di «cruzeiros» e di franchi, di «pesos», di marchi e di dollari. Le storie del fotoromanzo — definito il «fumetto dei poveri» — sono quasi sempre fatte con gli stessi ingredienti.

La percentuale più alta è quella delle lettrici, divoratrici di storie d'amore fotografico le quali, pur essendo intrecciate e poliziesche, mettono tuttavia al bando le relazioni illegali, l'adulterio e tutto quanto contrasta con la moralità di ogni giorno. «Il fotoromanzo — ha detto il prof. Roberto Carlo Quintavalle — svolge nella società dei consumi una precisa funzione mitica. Le storie di amore, di passione e di morte si identificano con le lettrici, mentre appaiono come oggetto di desiderio por i lettori. Ma che cosa è esattamente un fotoromanzo? Vediamo.

Nato alla fine degli anni Quaranta come figlio invalido del cinema, il fotoromanzo ha cercato di raccontare por mezzo di immagini fotografiche le storie evasive del fumetto disegnato. I protagonisti lottano sempre contro veti e pregiudizi. Il contrasto di partenza è sempre fra legalità e sessualità. Si lotta in continuazione contro la legalità, ma essa finisce sempre col prevalere. Prima personaggi e storie erano astratti, adesso cercano di avvicinarsi ai problemi di ogni giorno. Per fare un fotoromanzo occorrono una ventina di giorni. Si possono eseguire anche 70-80 inquadrature al giorno. Scelti i personaggi e i luoghi dove deve svolgersi l'azione, la macchina fotografica non ha attimi di sosta. Interpreti dei primi fotoromanzi sono stati, in Italia, futuri notissimi artisti quali Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Mike Bongiorno, Vittorio Gassman. È un bel trampolino di lancio. Dalle immagini fotografiche stampate su carta patinata si passa spesso al cinema. I registi dei fotoromanzi sono sovente i medesimi del cinema, ma preferiscono nascondersi dietro pseudonimi.

Un fotoromanzo costa in media dai 15 ai 20 milioni. Ciascuna copia viene venduta dalle cento alle trecento lire. A una media di duecento lire la copia, fa un introito settimanale di due miliardi per gli editori. Se poi si pensa che i dieci milioni di lettori italiani non si limitano a comprare un solo fotoromanzo per settimana, si arriva a cifre di vari miliardi. La fiorente industria del fotoromanzo italiano ha gettato le proprie radici all'estero. Il «copyright» frutta altri miliardi in valuta estera. Gli editori italiani di «fumetti dei poveri» hanno conquistato da tempo i mercati editoriali di quasi tutta l'America del Sud, dell'Africa del Nord e dell'Europa. «È un mercato che continua ad espandersi, per nostra fortuna», mi ha dotto un fabbricante di fotoromanzi. «"Clic", si gira»: una formula magica.


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FOTOROMANZO

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Baci, lacrime e passioni prima delle telenovelas. Un genere letterario bistrattato e pure molto amato. Nato settant’anni fa in Italia, in questi giorni la Francia lo celebra con una mostra

Cari cinematografari, mettetevi a lavorare I fotoromanzi sono nati in Italia giusto settant’anni fa, ma li celebrano in Francia, con una mostra a Marsiglia: aperta da pochi giorni, si può visitare fino al 23 aprile. “Hanno avuto una cattiva stampa”, esordisce il relativo catalogo. Per la sinistra erano uno strumento del capitalismo per rimbecillire le masse, anche se nel 1949 l’allora 27enne Enrico Berlinguer da segretario dell’appena ricostituita Federazione giovanile comunista italiana aveva dedicato proprio “alle ragazze che leggono Grand Hôtel” la prefazione a un’antologia edita dalla stessa Fgci. “Si dice anche, fra di noi – e molti, non lo nascondo, se ne rammaricano – che molte siano le ragazze, anche tra quelle politicamente più evolute, che hanno in Grand Hôtel la lettura più appassionante”, riconosceva. “Si esagera, forse, e, in ogni caso, non si considera e non si comprende quanto difficile sia oggi, per una ragazza, avere una scelta felice nel gran mare di mercato librario che è grande nella quantità quanto insufficiente e povero nella qualità e nella varietà. A meno che non si pretenda – e noi non pretendiamo di certo, perché sappiamo comprendere le ragazze e perché giovani siamo anche noi – che le ragazze leggano solo di filosofia o di catechismo”.

Fanno "sognare qualcosa che non appartiene al nostro mondo per impedirci di aprire gli occhi", scriveva Enrico Berlinguer

Insomma, prometteva il futuro teorico del compromesso storico, “non è davvero nelle nostre intenzioni negare alle ragazze il diritto di scegliere le loro letture, di appassionarsi ad avventure o a vicende d’amore”. Dopo la lisciata, però, l’ammonimento: “Alle volte, in chi scrive quelle avventure, in chi immagina quelle storie di amore, vi è l’intenzione di farci palpitare per le avventure di altri, di farci sognare qualcosa che non appartiene al nostro mondo per impedirci di aprire gli occhi, di unirci, di operare per rimuovere insieme gli ostacoli che impediscono a tante ragazze di conquistarsi un loro avvenire, portare a compimento il loro sogno d’amore, di avere tutte la loro famiglia e di raggiungere la loro felicità in una società che più non conosca, per i pochi, il privilegio, il lusso, il capriccio e, per i molti, l’umiliazione, lo scherno, la miseria”.

Ma anche la chiesa cattolica li considerava immorali, salvo poi Famiglia Cristiana utilizzare proprio la tecnica del fotoromanzo per illustrare alcune vite di santi. Naturalmente, ai bambini i fotoromanzi erano vietatissimi. Ma invece in questa mostra è prevista proprio un’attenzione speciale per le visite scolastiche. “Il pubblico scolastico non ha conosciuto l’età d’oro del fotoromanzo”, spiega Marie-Charlotte Calafat, una delle due curatrici della mostra. “Non immagina certamente l’infatuazione popolare che il fotoromanzo ha suscitato negli anni 1960-70”. Gli anni in cui in Italia le ragazze coprivano le pareti delle loro stanze con i poster di divi come Franco Gasparri, Jean Mary Carletto, Nuccia Cardinali, Adriana Rame, Michela Roc, Katiuscia, Claudio De Renzi, Gianni Vannicola, Alex Damiani, Franco Dani, Sebastiano Somma, Claudia Rivelli: quest’ultima sorella di quella Francesca Romana Rivelli che, di cinque anni più giovane, per sfondare al cinema senza l’ingombro di quel cognome già famoso avrebbe scelto lo pseudonimo di Ornella Muti. Marie-Charlotte Calafat spiega anzi che una visita a una mostra del genere oggi è perfino educativa, trovandosi il fotoromanzo “all’incrocio di diverse arti”: il cinema, il fumetto e la fotografia. “Noi siamo quotidianamente immersi nella fotografia, che è un’arte largamente diffusa”. I ragazzi possiedono dunque i codici di lettura per percepire, attraverso le immagini, “l’evoluzione della società e delle mentalità nel corso del XX secolo. Il soggetto stesso dell’esposizione, il fotoromanzo, è un supporto pedagogico allo stesso tempo originale e efficace”.

E sì che gli intellettuali, su tutti, li demonizzavano come espressione di cattivo gusto e di incultura. “Sapere”, famoso programma educativo della Rai anni Sessanta e Settanta, in una storia del romanzo d’appendice ne riconosceva un’evidente parentela: sia nella tecnica del racconto a puntate; sia nei toni strappalacrime. Ma poi spiegava che mentre da Victor Hugo a Eugène Sue e Alexandre Dumas o Charles Dickens i grandi autori del feuilleton erano stati alfieri dell’emancipazione delle classi popolari e avevano implicitamente denunciato le ingiustizie sociali, i fotoromanzi invece “addormentavano le coscienze”. Ogni tanto, però, qualche intellettuale ne copiava la tecnica per fare qualche esperimento avanguardista. Da ultimo, adesso li esaltano addirittura come un’icona della cultura mediterranea. Tant’è che li espongono al Mucem: quel Museo delle civiltà dell’Europa e del Mediterraneo che è stato inaugurato a Marsiglia nel 2013 quando la città fu capitale europea della cultura, e che nel 2015 è stato premiato dal Consiglio d’Europa. Sede: il Forte Saint-Jean, fatto edificare dal Re Sole sui resti di un ospizio dei Cavalieri Ospedalieri, e in seguito carcere della Rivoluzione francese e centro di addestramento della Legione straniera.

Proiezione mediterranea, allestimento transalpino, ma a partire soprattutto da un “tesoro” nostrano. Vediamo ad esempio i due giovani teneramente abbracciati che si baciano appassionatamente su un tappeto di foglie morte: un’immagine che potrebbe essere senza tempo, non fosse per quella brillantina di lui, quella crocchia di lei, quelle giacche e quel plaid che ci danno una datazione inconfondibilmente pre- ’68. Infatti è un fotogramma del 1967: più precisamente un’immagine di “Gioventù delusa”, pubblicato sul numero 1.043 di Bolero Film. Poi c’è un uomo in camice da medico che dà a un collega un cazzotto in posa particolarmente plastica, davanti a un letto d’ospedale e a un’infermiera che si mette una mano davanti alla bocca in un gesto tra lo spavento e la sorpresa. E questa è da “Il figlio rubato”: sempre Bolero Film del 1967, ma numero 1.060. Altro bacio appassionato, con un lui in giacca e cravatta: Bolero Film 675 e qui siamo al 1960, “Qualcosa che si chiama onore”. Altra immagine da “Gioventù delusa”: una donna buttata a terra che piange, ma su un tappeto e con un tailleur, una borsetta e un paio di tacchi alla Audrey Hepburn che forse sarebbero più ancora anni Cinquanta che Sessanta. Tutto tratto da “Le trésor de Mondadori”, come viene appunto definito. L’“impressionante fondo” con la collezione assolutamente inedita degli archivi fotografici di Bolero Film, che ha dato all’altra curatrice dell’esposizione Frédérique Deschamps la folgorazione da cui è nata questa iniziativa.

Dopo una premessa dedicata ad alcune anticipazioni, dal “Tesoro Mondadori” parte il percorso espositivo che poi nella prima parte continua con quel “Nous deux” che è stato il più importante magazine di fotoromanzi francesi e con il fotografo Thierry Bouët. Nella parte seconda ci sono poi i percorsi in parte autonomi di “avatar e dirottamenti”: il fotoromanzo erotico-nero, quello comico-satirico, quello onirico-surrealista. Forse perché meno si ricorda di meno, sembra assente quel filone del fotoromanzo in costume storico che pure fra anni Cinquanta e Sessanta circolava. “Gli incensurati” era un film del 1961 in cui Peppino De Filippo per soddisfare i dispendiosi capricci della moglie a un certo punto si improvvisava tra l’altro Mosè in una improbabile versione fotoromanzata dei “Dieci Comandamenti”. Sono evoluzioni che comunque non hanno mai raggiunto la popolarità del fotoromanzo sentimentale. “Milioni di negativi”, spiega la Dechamps sul “Tesoro Mondadori”. “Un fondo tanto più eccezionale se si pensa che gli originali serviti per l’elaborazione dei fotoromanzi sono stati raramente conservati e archiviati, non essendo mai stati considerati come una forma d’arte”. E invece secondo lei “le immagini della collezione Mondadori sono di una grande qualità tecnica. Portatrici di una estetica molto padroneggiata, esse sono formalmente prossime all’estetica che si ritrova nel cinema del dopoguerra italiano, il neorealismo”.

La tiratura era cresciuta dall'1,6 milioni di copie dagli anni 50 agli 8,6 milioni del 1976 (5 milioni solo per il gruppo Lancio)

Eh sì. In francese li chiamano “roman-photo” o “photo-roman”. In spagnolo si parla di “fotonovela” o di “fotohistoria”: termine quest’ultimo che è passato anche al portoghese. E questa terminologia latina è essenziale perché, spiega sempre il catalogo, “se il genere è stato inventato in Italia, ha conosciuto molto rapidamente un successo crescente ed è stato esportato in numerosi paesi del bacino mediterraneo e dell’America del Sud”. Se in Francia nel 1957 il magazine di fotoromanzi “Nous Deux” vendeva un milione di copie a settimana, in Italia la tiratura era cresciuta dall’1,6 milioni di copie dagli anni Cinquanta agli 8,6 milioni del 1976, di cui 5 milioni per le sole riviste del gruppo Lancio. “Al contrario”, osserva sempre il catalogo, “i paesi anglosassoni non sono stati toccati da questo gusto per il fotoromanzo. Di cultura protestante, il rapporto con i racconti per immagini vi è più complicato”. L’avete capito allora perché Famiglia Cristiana aveva poi finito per riscattarli?

Tuttavia il termine esiste anche in inglese: “photo comics”; ma si dice anche “photonovels” e perfino “fumetti”, col termine che in italiano viene invece usato per quel che nella lingua di Shakespeare sono i comics. E in tedesco sono i Fotoroman o Fotocomic. Ma la lingua in cui furono inventati è appunto la nostra, a partire da quel primo fotoromanzo che uscì l’8 maggio del 1947 su Il mio sogno, “settimanale di romanzi d'amore a fotogrammi”, la parola ancora non è stata creata, edito dalla Editrice Novissima di Roma, di proprietà di un Giorgio Camis De Fonseca socio della Rizzoli. Prima storia: “Nel fondo del cuore” su soggetto di Stefano Reda, giovane giornalista appassionato di letteratura. La seconda fu invece “Menzogne d’amore” su soggetto di Luciana Peverelli, affermata scrittrice di romanzi rosa. Con Bolero Film la Mondadori rispose quasi subito, il 25 maggio del 1947. In realtà i due progetti erano maturati più o meno in contemporanea… Il tipo di trame era stato anticipato dal Grand Hôtel della prefazione di Berlinguer, lanciato dai fratelli Del Duca l’anno prima: ma lì le storie erano ancora disegnate, come nel fumetto tradizionale.

Il 1947 è anche l’anno in cui Giuseppe De Santis ebbe la prima idea di “Riso amaro”. Era un film di denuncia sociale, però si svolgeva con toni forti tra il fotoromanzo e il Gran Guignol. E lo stesso voluto equivoco era giocato sugli shorts inguinali ante litteram e sulle calze nere di Silvana Mangano: allo stesso tempo costume da mondina più che filologico, ma addosso a un’attrice con quel fisico anche esplosiva icona sexy. Insomma, fino a quel momento il neorealismo aveva entusiasmato i critici, annoiato il pubblico e inferocito quei politici che come Giulio Andreotti si preoccupavano per l’immagine all’estero dell’Italia in ricostruzione. Quando due anni dopo “Riso amaro” uscì, sbancò il botteghino: prima tappa di quella contaminazione tra avanguardia cinematografica e gusto popolare che poi nella ulteriore combinazione di neorealismo e commedia dell’arte di “Pane, amore e fantasia” avrebbe definitivamente lanciato il boom della commedia all’italiana.

Rapporti stereotipati, ma proprio le passioni da fotoromanzo partecipano alla rimessa in causa del matrimonio borghese

Si sa ormai che il neorealismo in origine quegli scenari dal vero, attori non professionisti e pellicole scadute li aveva inventati solo per la spaventosa povertà di mezzi del dopoguerra: ma gli stessi intellettuali che avrebbero disprezzato il fotoromanzo ne erano stati folgorati. E’ abusivo pensare che anche l’idea di realizzare fumetti di foto sia nata da esigenze di risparmio del genere? Be’, chi aveva scritto i soggetti di “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano” e “Umberto D.”? Cesare Zavattini: lo sanno tutti. E chi aveva avuto con Mondadori l’idea di lanciare Bolero Film? Sì: sempre Zavattini. Anche se questo è molto meno noto. E sapete chi fu a dirigere i primi set di “Il mio sogno”? Damiano Damiani: il futuro regista della “Piovra”, che un po’ fotoromanzo non è che non lo sia. Insomma, la parentela tra uno dei generi cinematografici che la cultura alta ha più amato e uno dei generi narrativi che più ha disprezzato è sorprendentemente stretta! L’uno e l’altro egualmente figli di quell’Italia del dopoguerra affamata di rinnovamento e di benessere. “Il fotoromanzo nasce in Italia proprio dopo la Seconda guerra mondiale e risponde alla domanda di evasione e di sogno di tutta una generazione marcata da un conflitto lungo e doloroso”, spiega il catalogo. C’erano state varie anticipazioni: da alcuni tipi di cartoline che all’inizio del ‘900 proponevano storie a puntate al fumetto. Ma il fotoromanzo nasce in un momento “in cui la fotografia trova un posto sempre più grande nei giornali e nella letteratura. Sinonimo di modernità, la fotografia offre ai lettori di fotoromanzi un sentimento del reale: leggere una storia incarnata non più da personaggi disegnati ma da persone vere rinforza l’empatia, l’identificazione e la proiezione presso il lettore”.

La crisi viene poi negli anni Ottanta, nel momento in cui la tv commerciale ormai spalmata sulle 24 ore in una varietà di canali mette a disposizione una offerta di soap operas e telenovelas i cui personaggi in movimento sono ancora più reali di quelli statici delle foto. Nel frattempo, però, il fotoromanzo ha accompagnato l’evoluzione dei costumi. “A un primo approccio il rapporto uomo/donna nei fotoromanzi è estremamente stereotipato, la salvezza della donna passa soprattutto attraverso l’incontro amoroso”. Ma in realtà proprio le passioni da fotoromanzo “partecipano alla rimessa in causa del matrimonio borghese”, fino alla rivoluzione dei costumi degli anni Settanta. “Questa società che stava cercando nuove forme di riorganizzazione della coppia, della sessualità e dei figli, ha improvvisamente considerato che l’amore era prigioniero e che niente poteva essere più bello che liberarlo”. Parole di Marcela Iacub: saggista franco-argentina famosa non solo per i suoi scritti nel campo del femminismo e della bioetica, ma anche per quella relazione con Dominique Strauss-Kahn da lei poi portata in piazza in un libro per cui poi lo stesso DSK l’avrebbe citata in tribunale. Spiega sempre Marcela Iacoub, “il fotoromanzo ha dunque attivamente partecipato a questo immenso movimento di rimessa in causa del matrimonio borghese al fianco delle femministe, dei sessuologi, della pianificazione familiare, degli intellettuali”. Insomma Bolero Film e Grand Hôtel hanno finito per essere più rivoluzionari delle antologie in cui Berlinguer li criticava.


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Nato in Italia nel 1947, il fotoromanzo ha conosciuto un successo immediato, e per più di venti anni è stato uno dei protagonisti dell’editoria internazionale. In Francia ha esordito negli anni cinquanta grazie al settimanale Nous deux. Nel 1957 il giornale contava un milione e mezzo di persone che lo leggevano, ed erano soprattutto lettrici.

Nonostante la sua grande popolarità, per molto tempo è stato considerato un genere minore della letteratura e raramente ha catturato l’attenzione degli storici dell’immagine o quella dei musei, o di altri centri dedicati all’arte. Una mostra al Mucem di Marsiglia ne ripercorre la storia, dalle origini alle influenze sugli artisti contemporanei.

Trecento le opere esposte, tra cui riviste, fotografie originali, prove d’impaginato, film, e materiali inediti provenienti dalla collezione Arnoldo Mondadori, editore che tra gli anni quaranta e ottanta pubblicò migliaia di fotoromanzi.

Attrici famose come Sophia Loren e Gina Lollobrigida hanno posato per queste riviste, anche se molti accusavano le pubblicazioni di sentimentalismo e di perversione. Parte della mostra è anche dedicata alla diffusione del genere in Spagna, Libano, Argentina.

Anche se l’età d’oro del fotoromanzo è finita, alcune riviste sono sopravvissute, come Noux deux, considerata dal semiologo e scrittore francese Roland Barthes – affascinato dal genere – “più oscena di Sade”. Oggi la rivista distribuisce 350mila copie a settimana e si può leggere anche su tablet.


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Da Gramsci a Franco Gasparri: il ritorno del fotoromanzo e la paraletteratura

Ogni tassonomia letteraria, dalla più rigorosa alla più approssimata, mette all’ultimo posto la cosiddetta letteratura da edicola. Spinazzola la chiama “letteratura marginale”, Gramsci la chiama “paraletteratura”, Schulz-Buschhaus “trivialliteratur”, ma il senso è identico. Spinazzola la descrive come «pubblicazioni che banalizzano, involgariscono, imbastardiscono tendenze già sfruttate, appiattendosi nella serialità ripetitiva». Gramsci le riconosce un valore positivo, soprattutto perché è adatta a soddisfare i bisogni di masse con strumenti culturali ridotti. Su di essa scrive: «rappresenta un elemento attuale di cultura, degradata quanto si vuole, ma sentita vivamente». Schulz-Buschhaus invece, inserisce il termine in un contesto molto più ampio e vaporoso. La sua “Trivialliteratur” è un «fenomeno testuale situato nei bassifondi della letteratura». Nel concetto di paraletteratura, comunque si voglia declinarlo, rientrano le cosiddette “pubblicazioni da edicola”. Quasi mai hanno un codice ISBN, quindi non solo non sono considerate cultura in senso stretto ma non vengono annoverate tra i libri.

Il fotoromanzo In questa non distinzione c’è tutto il distacco tra forme “alte” e “basse”, tra un mondo culturale astratto e lontano e il nazionalpopolare. Eppure, proprio in Italia, a partire dal secondo Dopoguerra, nasceva un genere che assunse grande importanza e che generò livelli di vendite sostanziose: il fotoromanzo. La paternità del fotoromanzo è di due grandi nomi: Damiano Damiani e Cesare Zavattini. Proprio quest’ultimo sceneggiò gran parte neorealismo italiano: Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Il cappotto, Bellissima sono solo alcuni dei film che hanno visto Zavattini soggettista e sceneggiatore. L’idea è semplice: un fumetto, rivolto prevalentemente a un pubblico femminile, senza protagonisti animati ma con bellocci ritratti in foto. Spiega Mario Sprea, sceneggiatore per oltre vent’anni e ad oggi direttore di “Kolossal”: «Prendevamo gli attori per strada, vicino a via Veneto. Avevano delle facce bellissime e si accontentavano di pochi soldi». L’idea funzionò da subito, e contribuì persino ad insegnare a leggere a molte ragazze della neonata Repubblica.

L’ascesa del fotoromanzo Negli anni Sessanta e Settanta il «boom» coinvolge anche questo tipo di pubblicazioni e si afferma la “Lancio”, casa editrice specializzata in fotoromanzi che pubblica “Sogno”. Si tratta di una rivista capace di assumere di fatto il monopolio nel campo e sfondare anche all’estero. Il fotoromanzo diventa fenomeno di costume, capace di regalare brividi alle ragazzine sottoposte ad una rigida educazione, farle sognare con baci appassionati, pose lascive e petti nudi. Su “Sogno” sono apparsi Sophia Loren (sotto il nome di “Sofia Lazzaro”), Raffaella Carrà, Mike Bongiorno, Loretta Goggi, Johnny Dorelli. In seguito, si affermò una vera e propria sottocategoria, quella degli attori di fotoromanzi. Abbiamo allora l’arrivo dei re di questo genere: Franco Gasparri e il suo eterno rivale Franco Dani, Katiuscia, Michela Roc, Pierre Clement, Marina Coffa, Francesca Rivelli (che non aveva ancora assunto il nome d’arte di Ornella Muti) e Max Delys. Il fotoromanzo era un genere in continua crescita, che garantiva guadagni cospicui senza presupporre il bisogno di saper recitare. È stato infatti, nel corso degli anni, rampa di lancio per “belli” come Sebastiano Somma, Roberto Farnesi, Kabir Bedi, Massimo Ciavarro, Fabio Fulco, Enrico Mutti, Antonio Zequila, Manuela Arcuri, Alessia Merz, Giuliano Gemma. Un mondo praticamente infinito che entra in crisi quando, alla fine degli anni Ottanta, esplode la televisione ed arrivano le soap opera.

La “Lancio” finisce addirittura in liquidazione e Franco Dani si dà alla musica mentre gli altri “belli” passano in blocco al piccolo schermo, mettendo in evidenza la loro scarsa attitudine alla recitazione.

Il ritorno di Kolossal e Sogno Proprio quando tutto sembrava finito, è arrivato il Covid. Da qualche soffitta polverosa alla Sprea editrice riemergono centinaia di fotoromanzi degli anni Sessanta e Settanta. Da qui l’idea di ripubblicarli in versione integrale, anche se i fotogrammi originali sono andati perduti e si è dovuto scannerizzare vecchie copie rinvenute nei mercatini. Spiega Sprea: «Più della qualità delle facce degli attori, che sono state il segreto del successo di allora, ci ha colpito la freschezza di queste storie, le stesse che si vedono oggi in tv». Tornano così in edicola “Sogno” e “Kolossal”. Proprio di quest’ultimo abbiamo letto il numero del mese scorso, che ripropone una storia del 1978 con protagonisti Max Delys e Marina Coffa: “Adesso puoi lasciarmi…addio”. Sveva, ad un passo dal matrimonio col ricco Ermanno, viene a sapere che Sebastian, il suo ex fidanzato bohemien è ricoverato in ospedale dopo un’overdose. Sveva decide allora di aiutarlo a disintossicarsi, così torna a vivere l’amore che fu. Ma il percorso è difficile e Sebastian cade in tentazione, arrivando quasi a mettere le mani addosso a Sveva che aveva distrutto l’eroina procurata dal ragazzo. L’unica soluzione è ricoverarlo in una clinica, e Sveva sottrae i soldi al padre per pagarne una, finendo per prendere un letto a sua volta, pur di star vicino al suo vero amore Sebastian. È sicuramente una storia particolare, e desta stupore che in un fotoromanzo si affrontino temi del genere. Quel che colpisce è la differenza di registro tra il linguaggio “alto” di Sebastian l’artista e la “semplicità borghese” di Sveva. Certo, la raffigurazione del mondo della droga è molto stereotipata, però risulta funzionale al contesto editoriale e al messaggio di fondo, soprattutto. Sebastian infatti, “ha perso la corsa della vita a causa di quella robaccia”. Sveva accetta di scendere nei bassifondi dell’anima e della società pur di accompagnare il suo amato nel percorso di catarsi. Insomma, una storia inaspettatamente toccante.

Sveva, l’ingenua borghese, si avventura nei bassifondi e conosce il terribile spacciatore chiamato “Il turco”, che però sembra Bombolo Conclude l’editore Sprea: «Bisogna raccontare storie da film ma che siano verosimili, che possano accadere anche a te». E forse non succederà mai di trovarmi ad un tavolo a parlare di tramonto dell’arte informale e parassitismo borghese, ma se i fotoromanzi sono creati per sognare, ammetto di aver sognato. E allora l’esperimento è riuscito.


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CAMERIERA

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Francesco Vezzoli e il ritorno del fotoromanzo in edicola: «Siamo tutti cameriere che sognano l'amore» Ritorna in edicola dal 24 luglio per Sprea Editori «Sogno», la rivista che ha segnato un'epoca sdoganando i fotoromanzi in Italia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. Ne parliamo con l'artista Francesco Vezzoli, tra i sentimenti sgorgati dai falò di «Temptation Island» e il motto di Gianni Agnelli che diceva che l'amore era «per le cameriere» di Mario Manca 28 luglio 2020 Francesco Vezzoli e il ritorno del fotoromanzo in edicola «Siamo tutti cameriere che sognano l'amore»

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Sogno: il ritorno dei fotoromanzi «Quando ero adolescente sui giornali si leggeva sempre questa frase dell'Avvocato Agnelli che diceva che innamorarsi era una cosa da cameriere. Al di là del fatto che oggi sarebbe impronunciabile perché ritenuta politicamente e altamente scorretta, mi verrebbe da dire che oggigiorno siamo tutti diventati un po' cameriere». A parlare è Francesco Vezzoli, un artista che ha sempre destrutturato in maniera sapiente l'immaginario pop e che oggi discute con noi il ritorno in edicola di Sogno, la rivista fotoromanzesca che ha spopolato nell'Italia degli anni Cinquanta e che torna a partire dal 24 luglio per Sprea Editori. L'obiettivo è quello di rispolverare un mondo, quello del fotoromanzo, che, per dirla alla Vezzoli, ci ha fatto scoprire un po' tutti «cameriere» e che ha coltivato in noi non solo l'empatia per i divi, da Sophia Loren a Franco Gasparri, che prestavano il volto alle tavolette in bianco e nero di quelle pagine, ma anche la curiosità per quelle storie a puntate che hanno stregato gli italiani per più di un trentennio.

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Nato in Italia ed esportato in tutto il mondo, da sempre associato a una nota dispregiativa nonostante l'arte abbia riscoperto il suo valore restituendogli dignità solo in anni recenti - una copertina di Sogno degli anni Cinquanta con la Loren, al tempo conosciuta come Sofia Lazzari, è tuttora esposta al MoMa di New York -, il fotoromanzo diventa un mezzo vintage per indagare alcuni meccanismi ancora vivissimi oggi. «Ci innamoriamo, sbirciamo dai buchi della serratura tutti gli Instagram di quelli più belli e più ricchi di noi. Il mondo è diventato più vanitoso, superficialmente romantico, ed è per questo che il fatto di ripubblicare i fotoromanzi non mi stupisce» spiega Vezzoli, che risponde al telefono dalla Calabria, con una puntata di Don Matteo in sottofondo - «È una visione molto pacificante, specie se sei in vacanza. Poi c'è anche il maresciallo che è un bonazzo, e la cosa non guasta». Parlare del fotoromanzo, di titoli come Lancio e di personaggi iconici come Katiuscia, interpretata da Caterina Piretti, una delle dive più apprezzate del genere poi caduta nel baratro della droga fino alla conversione al buddismo e la rinascita, è un continuo rimando tra il passato e il presente, tra quello che sembra lontano anni luce e la consapevolezza che quel trascorso ha semplicemente cambiato forma, cucendosi addosso un vestito che pare nuovo ma è in tutto e per tutto riciclato. «D'altronde -continua Vezzoli - è vero che si sposano sempre meno persone, ma si continua a combattere perché tutti possano farlo: è lo specchio di un'esigenza d'amore, di un afflato amoroso, per usare una parola un po' nostalgica. L'ho spiegato anche nel progetto Love Stories che ho realizzato per la Fondazione Prada».

In cosa sopravvive il fotoromanzo oggi, secondo lei?«Se ci pensiamo, programmi come Temptation Island e Uomini e Donne, al di là del fatto che siano le propaggini di Agenzia Matrimoniale di Costanzo, hanno come fulcro la pura discussione dei sentimenti. Non si nomina un libro, un pittore o un partito politico: non si parla mai di fatti concreti, ma solo di come le persone vivono il sentimento. Se analizzassimo da un punto di vista sociologico la situazione mediatica attuale, ci accorgeremmo che siamo molto più sentimentali di quanto non lo fossimo prima».

Eppure il fotoromanzo, specie dai salotti bene, è sempre stato considerato in maniera dispregiativa, come il classico mezzo a uso e consumo delle masse.«È un filo rosso che parte da inizio secolo, ma che potremmo collocare ancora più indietro. Partiamo dai feuilleton: tutti lo leggono ma nessuno direbbe che è nobile letteratura. Colette, la J.K Rowling del primo Novecento, viene rinchiusa in casa dal marito e scrive novelle, alcune belle e altre più brutte. Poi viene Liala, ma anche i film di Materazzo, che sbancano il botteghino ma che non ottengono nessun riconoscimento accademico, così come tutto quel filone del cinema degli anni Cinquanta con Amadeo Lazzari e Yvonne Sanson, snobbato dalla critica nonostante mia nonna passasse i pomeriggi a piangere vedendo Figli di nessuno. Poi arrivano i fotoromanzi, le soap opera, sempre mossi dall'illusione di poter vivere l'amore su uno schermo, sulla carta stampata o su Instagram. Raramente questo bisogno viene riconosciuto dalla critica: le persone lo vedono, ma negherebbero in pubblico di farlo».

La cosa particolare, però, è che dive come Sophia Loren e Raffaella Carrà oggi non ricordano l'esperienza dei fotoromanzi con snobismo, ma con tenerezza.«Viviamo in un momento storico in cui tutti cercano di riconquistare il rapporto con i sentimenti popolari e di catturare le masse. Le élite oggi non interessano più a nessuno: il fatto che ritornino i fotoromanzi è fisiologico di questo».

Tra i fotoromanzi e i protagonisti che vi prendono parte, spesso la realtà supera la fantasia: come nel caso di Katiuscia, che nella vita reale sperimenta un ciclo di caduta e di rinascita che sembra scritto da uno sceneggiatore.«Ritengo interessantissimo vedere queste celebrità che valicano lo specifico del loro medium: dal punto di vista letterario, le loro sono vite molto interessanti, magari camminano per strada, passano di fronte all'indifferenza di molti, e poi incontrano uno che li abbraccia e piange al loro cospetto. Bisognerebbe fare un film su Katiuscia: se qualcuno me lo producesse, lo farei io».

Più che le storie in sé, a rimanere impressi sono soprattutto gli sguardi sospesi di questi divi, non crede?«Gli attori vengono costretti a utilizzare una loro naturale espressività prestandosi a una narrazione. Più che le sceneggiature, mi colpiscono questi volti che sembrano sempre persi dentro a un vuoto colmato dai dialoghi: se togliessimo le frasi, sembrerebbero le figure di un film di Antonioni».

A un certo punto il genere conquista la dignità artistica: lei come lo valuta questo processo?«Se è arte un fumetto, perché non può esserlo un fotoromanzo, un genere che ha dentro di sé la parola "romanzo", "romanza"? Se il fumetto è musica pop, il fotoromanzo è opera lirica. Qualsiasi cosa raggiunga il cuore delle persone è degna di analisi e va presa in considerazione. Quando, per esempio, ho ricamato lacrime sulle facce delle attrici, l'ho fatto perché nella storia dell'arte mi sembrava che quel sentimento fosse stato cancellato e volevo farlo rientrare dalla finestra. Oggi è la stessa cosa, solo che a rientrare dalla finestra è il fotoromanzo».

Ripubblicare i fotoromanzi oggi, nel 2020, non teme che possa solleticare una certa riscoperta del collezionismo mettendo da parte il puro consumo?«Io non sono un collezionista, mi affascina molto di più più la dipendenza emotiva del leggere. Se parliamo di collezionismo l'artista lo connette subito a qualche forma di speculazione mentre, per quanto riguarda i fotoromanzi, dovremmo essere molto più interessati a chi ha voglia di sfogliarli. Ci saranno persone con le case piene di vecchi numeri di Grand Hotel, ma mi intriga più una signora con un fotoromanzo in mano per chiederle perché lo legga».

Le «cameriere», insomma.«Se penso al trono eterosessuale di Uomini e Donne, con questi uomini che piangono e sdoganano l'emotività, capisco che sono questi gli sviluppi importanti: se fanno parte della nostra personalità, è giusto che non siano repressi. Se il fotoromanzo è lì per chi vuole sognare in quest'estate nella quale tutti abbiamo bisogno di sognare l'amore, ben venga. Al motto di "siamo tutti cameriere"‘.


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