FOTOROMANZO

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Cos’è un fotoromanzo? Un perfetto congegno narrativo, degno delle più sofisticate teorie narratologiche, o la scenografia a tinte edulcorate entro cui immergersi per vivere passioni impossibili? Silvana Turzio lo racconta nel saggio Il fotoromanzo Metamorfosi delle storie lacrimevoli (Meltemi, pp. 214, € 24,00), dopo aver già esplorato il terreno in occasione della mostra Fotoromanzo e poi…, al festival Fotografia Europea 2018 di Reggio Emilia. Le parole che Michel de Certeau dedica alla lettura ne L’invenzione del quotidiano, costituiscono la premessa metodologica attraverso cui comprendere il successo del fotoromanzo. Egli afferma che il lettore, dinnanzi a un testo, non si limita a leggerlo passivamente, ma gioca d’astuzia: è «un Robinson in un’isola da scoprire». E come esempio cita proprio «Nous Deux», copia fedele di «Grand Hotel», esportato in Francia nel 1947 da Cino Del Duca, che lo aveva ideato con i fratelli Domenico e Alceo. Una lezione simile l’hanno appresa anche le lettrici di fotoromanzi, ma non tanto da Robinson Crusoe, quanto da Emma Bovary, cresciuta a colpi di romanzi rosa e morta suicida per aver desiderato un orizzonte meno ordinario di quello che, suo malgrado, si era scelta. Il fotoromanzo può dunque diventare il veicolo per indicare la possibilità di un cambiamento culturale; a tale proposito il fenomeno delle «cinquanta sfumature» potrebbe suggerire nuovi interrogativi. Leggere, ricorda la Turzio, è un atto di libertà soggettiva, che si può sottrarre in modi imprevedibili alle imposizioni dei gruppi dominanti. E questo vale soprattutto per le storie d’amore, che diventano la porta d’accesso a una realtà nuova, strumento per una trasformazione intellettuale. L’anno di nascita è il 1946. Il primo numero di «Grand Hotel» esce il 29 giugno. È un vero boom editoriale, in sintonia con l’entusiasmo della ritrovata libertà e di una speranza cullata tra mille privazioni. La tiratura di centomila copie, alta per l’epoca, è esaurita in meno di una settimana. L’anno successivo compariranno sul mercato altre due importanti pubblicazioni: «Il mio Sogno», che poco dopo diventerà «Sogno», della casa editrice Novissima, e «Bolero Film» della Mondadori, con cui collabora anche Damiano Damiani. Il terreno è fertilissimo. Nella prima parte del saggio, che ha un taglio prevalentemente storico, Silvana Turzio si sofferma sulle numerose forme di editoria popolare, nelle quali la presenza massiccia di illustrazioni ha favorito la diffusione del fotoromanzo come collettore di narrazioni visive. Sono tante e hanno grande diffusione: le dispense popolari illustrate, che prendono il posto dei romanzi d’appendice, nelle quali disegnatori e pittori eccellenti attirano il pubblico con vivaci copertine a colori; i cineromanzi, trailer illustrati che dalle casse dei cinematografi finiscono sul comodino. E ancora altre pubblicazioni, fra cui il settimanale «Le Grandi Firme», diretto dal 1937 al 1938 da Cesare Zavattini, che vi introduce alcuni brevi «fotoracconti»; «Cinevita», nato nel ’35, «Cine-Romanzo», ’29. E di questo non ci si può stupire, poiché l’onnipresente immaginario cinematografico è il luogo a cui tendono le aspettative dei lettori. La copertina del primo numero di «Grand Hotel» allude all’omonimo film del 1937 con Greta Garbo. Dal punto di vista tecnico nulla è lasciato al caso. Nel 1956 viene addirittura pubblicato un manuale per operatori fotografici, di Ennio Jacobelli, dal titolo Istruzioni pratiche per la realizzazione del fotoromanzo. La professionalità è un requisito essenziale, sia per chi ci lavora, registi, attori e fotografi, sia per gli strumenti utilizzati, come la stampa a rotocalco, che permetteva di ottenere una migliore qualità nella riproduzione delle fotografie. La medesima attenzione viene dedicata all’uso della parola. Silvana Turzio suggerisce una connessione tra la fotografia, il fotoromanzo e la riproducibilità meccanica del suono. Nel 1886 Félix Nadar propone al chimico Eugène Chevreul un’intervista. Mentre il figlio Paul scatta le foto, Nadar ricorre all’uso del «fotofono» di Clément Ader, prototipo del registratore, per incidere il dialogo. Ma il fotofono non funziona, e Nadar è costretto a trascrivere il testo sotto le fotografie. Il risultato è una sequenza di immagini corredata dal linguaggio parlato, e per questo facilmente accostabile alla «nuvola parlante» dei fumetti e dei fotoromanzi. Poche parole, poiché il testo deve essere corto e leggibile. In tal modo riesce a svolgere anche una nobile funzione: alfabetizzare il pubblico. E chissà cosa avrebbe detto Manzoni nel vedere I Promessi Sposi in versione fotoromanzo per gli «Albi di Bolero Film». Ma in cosa credono le donne che leggono queste storie d’amore? Nella seconda parte del saggio («Il fotoromanzo del consenso») l’autrice passa in rassegna le diverse risposte che i due maggiori schieramenti politici dell’epoca hanno dato allo stesso tema. Per i cattolici il fotoromanzo corrompe la gioventù, per i comunisti annuncia la morte della lotta di classe; tuttavia i fronti non sono così monolitici. Se nel Pci, tanto Enrico Berlinguer che Nilde Iotti condannano il fotoromanzo, Gianni Rodari, dalle pagine di «Rinascita» (1952), replica che il bisogno di vedere è un sintomo del bisogno di cultura, persino se si tratta di «Grand Hotel». In generale, però, la sinistra rimane ancorata a una forma di sapere che privilegia il dato razionale della parola rispetto alle variabili soggettive, e potenzialmente devianti, dell’immagine. La risposta ufficiale del Pci, con l’eccezione di «Noi Donne», che pubblica il primo fotoromanzo nel 1947, è la diffusione dei racconti a disegni sulla vita di Gramsci e Di Vittorio (’58). Il mondo cattolico intuisce ben presto, invece, l’utilità di un progetto politico costruito a partire da un «Sogno». Eredi di una tradizione che risale ai gesuiti e alla loro precoce intuizione del valore pedagogico della teatralità, la Chiesa e la Democrazia Cristiana si dimostreranno ben consapevoli del valore strategico della rappresentazione scenica e ne faranno un uso sapiente, senza tralasciare alcun mezzo. A partire dal 1959, per ventisei anni, su «Famiglia Cristiana» vengono pubblicati cinquantatré fotoromanzi. Un caso esemplare è Sangue sulla palude, del ’60, dedicato alla vita di Maria Goretti, modello edificante di ineccepibile virtù da proporre alle giovani donne. Nel 1977 tutto cambia. Nella terza e ultima parte del libro Silvana Turzio si sofferma su alcuni modelli di rilettura del genere tra cui: tre opuscoli del Gruppo Strum (Architettura Strumentale) di Torino, realizzati in occasione di una mostra sul design italiano al MoMA nel 1972; i foto-racconti-lampo dello psicologo Luigi De Marchi, legati ai temi della sessualità, e alcuni esempi di messa in discussione burlesca del fotoromanzo. Ci provano riviste come «Il Male»,«Frigidaire» e «Frizzer», specchi di una élite culturale sperimentatrice e autoironica, capace di autorappresentarsi nel dispositivo di cui gli autori sono anche attori e registi. Grande consenso di critica, ma non le tirature di «Famiglia Cristiana». Liquidare il fotoromanzo come un contenitore di storie lacrimevoli è ingiusto oltre che superficiale. Questo genere ha saputo raccontare per diversi decenni l’immaginario di milioni di donne permanentemente escluse dai circuiti della cultura e della politica. Sono passati più di cinquant’anni da quando Silvana Mangano, in una scena di Riso amaro, stringe fra le mani una copia di «Grand Hotel». Oggi i reality e i social hanno sostituito i fotoromanzi. Può accadere che il rimosso ritorni, come in Ricordami per sempre del 2011, commissionato dal Mu.Fo.Co. di Cinisello Balsamo. Un titolo che suona come un invito. Michelangelo Antonioni l’avrebbe definito un’amorosa menzogna.

SITUAZIONE

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Revue Internationale Situationniste

España en el Corazón [Vaneigem, Raoul] l'Internationale Situationniste Région Ouest-Europe Paris: Internationale Situationniste, 1964. First edition. 5 3/8 x 12 1/2" broadside, illustrated with two detourned pin-up photographs. Text in French and Spanish. Folded once, and housed in the original rubberstamped mailing envelope from the IS.

Broadside which takes its title from the poem by Neruda concerning the Spanish Civil War, denouncing the relationship between the Catholic Church and Franco's regime.

Photographies détournées de pin-ups pour les tracts clandestins « España en el corazón, Revue Internationale Situationniste, 1964

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SUPER

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Duane Michals American, born 1932 Amazing Rick Dick, Super Sleuth!, 1990 Medium eighteen gelatin silver prints Size 8.2 x 12.7 cm. (3.2 x 5 in.)

Incredibile Rick Dick, Super Detective!

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MOSTRA

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Esposizione per Fotografia Europea 2018 a cura di ICS – Innovazione Cultura Società (Stefania Carretti, Lorenzo Immovilli, Elisa Savignano)

Fotoromanzo e poi… ripercorre oltre trent’anni di un fenomeno culturale di massa, una delle tante piccole “rivoluzioni” silenziose che, per la frivolezza e apparente ingenuità sentimentale che esprimeva, è stata generalmente sottovalutata dagli storici della cultura e dal mondo intellettuale.

Con il tempo si è però compreso che il fotoromanzo ha a suo modo contribuito in maniera incisiva ad accelerare il processo di alfabetizzazione nel nostro paese facendo sognare milioni di italiane che di settimana in settimana si dedicavano alla lettura di passionali e travolgenti vicende sentimentali. Se letto nel contesto sociale e storico dell’epoca, si tratta di un genere che ha puntualmente fotografato il costume e la società del nostro paese, accompagnando il difficile percorso di emancipazione delle donne italiane: dalle storie post-belliche di ambientazione neo-realista, alla rappresentazione dei conformisti anni ‘50 che volevano la donna di nuovo regina del focolare, fino alla liberazione sessuale e alle leggi che hanno consentito alle donne di conquistare potere di decisione sul proprio corpo.

La mostra si compone di una parte storico-documentaria e di una produzione creata ad hoc. La prima parte, realizzata con la consulenza di Silvana Turzio, comprende materiali provenienti dalla Biblioteca Panizzi (cineromanzi, foto-buste, carteggi e soggetti dall’Archivio Cesare Zavattini), dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (materiali preparatori e fotografie da negativi di fotoromanzi per Bolero Film), dalla Sovrintendenza per i Beni Culturali di Trento (fotografie di Federico Vender), dall’Istituto Luce (filmati da cinegiornali e il documentario L’amorosa menzogna di Michelangelo Antonioni) e prestiti da collezionisti privati (come il fotoromanzo sociale del Gruppo Strum, quello satirico de Il Male, quello politico-propagandistico del PCI o i fotoromanzi di Noi Donne e quelli a sostegno dell’emancipazione femminile) per illustrare l’evolversi di questo genere sia dal punto di vista del linguaggio che come termometro dei cambiamenti sociali.

La produzione invece trae ispirazione da un soggetto per fotoromanzo scritto nel 1961 da Cesare Zavattini, tra i pochi autori a intuire le potenzialità di questo genere a cavallo tra fotografia, cinema e fumetto. #NESSUNACOLPA, questo il titolo del fotoromanzo da “sfogliare” su Instagram, è un sequel ambientato nel presente, un un moderno feuilleton da seguire, una puntata al giorno, per un intero mese a partire dal 20 aprile.

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MOSTRA

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Esposizione per Fotografia Europea 2018 a cura di ICS – Innovazione Cultura Società (Stefania Carretti, Lorenzo Immovilli, Elisa Savignano)

Fotoromanzo e poi… ripercorre oltre trent’anni di un fenomeno culturale di massa, una delle tante piccole “rivoluzioni” silenziose che, per la frivolezza e apparente ingenuità sentimentale che esprimeva, è stata generalmente sottovalutata dagli storici della cultura e dal mondo intellettuale.

Con il tempo si è però compreso che il fotoromanzo ha a suo modo contribuito in maniera incisiva ad accelerare il processo di alfabetizzazione nel nostro paese facendo sognare milioni di italiane che di settimana in settimana si dedicavano alla lettura di passionali e travolgenti vicende sentimentali. Se letto nel contesto sociale e storico dell’epoca, si tratta di un genere che ha puntualmente fotografato il costume e la società del nostro paese, accompagnando il difficile percorso di emancipazione delle donne italiane: dalle storie post-belliche di ambientazione neo-realista, alla rappresentazione dei conformisti anni ‘50 che volevano la donna di nuovo regina del focolare, fino alla liberazione sessuale e alle leggi che hanno consentito alle donne di conquistare potere di decisione sul proprio corpo.

La mostra si compone di una parte storico-documentaria e di una produzione creata ad hoc. La prima parte, realizzata con la consulenza di Silvana Turzio, comprende materiali provenienti dalla Biblioteca Panizzi (cineromanzi, foto-buste, carteggi e soggetti dall’Archivio Cesare Zavattini), dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (materiali preparatori e fotografie da negativi di fotoromanzi per Bolero Film), dalla Sovrintendenza per i Beni Culturali di Trento (fotografie di Federico Vender), dall’Istituto Luce (filmati da cinegiornali e il documentario L’amorosa menzogna di Michelangelo Antonioni) e prestiti da collezionisti privati (come il fotoromanzo sociale del Gruppo Strum, quello satirico de Il Male, quello politico-propagandistico del PCI o i fotoromanzi di Noi Donne e quelli a sostegno dell’emancipazione femminile) per illustrare l’evolversi di questo genere sia dal punto di vista del linguaggio che come termometro dei cambiamenti sociali.

La produzione invece trae ispirazione da un soggetto per fotoromanzo scritto nel 1961 da Cesare Zavattini, tra i pochi autori a intuire le potenzialità di questo genere a cavallo tra fotografia, cinema e fumetto. #NESSUNACOLPA, questo il titolo del fotoromanzo da “sfogliare” su Instagram, è un sequel ambientato nel presente, un un moderno feuilleton da seguire, una puntata al giorno, per un intero mese a partire dal 20 aprile.

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COMUNISMO

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Cinque milioni di copie: sono quelle denunciate dal film di Michelangelo Antonioni L’amorosa menzogna. Così, secondo il regista vendevano i fotoromanzi, storie d’amore in fumetti che narravano la società italiana e la voglia di lasciarsi le macerie alle spalle.

Forse bisognerà contarne qualche milione in meno, ma certo la loro diffusione dagli anni 50 fu capillare e, in una società che cercava di risollevarsi dalla guerra, finirono per nutrire un immaginario di desideri proibiti, in bilico tra tentazioni reazionarie e altre ribelliste, creando una carrellata di divi di carta che invadevano i chioschi dei giornalai e i soggiorni delle case.

La mostra Fotoromanzo e poi, allo Spazio Gerra di Reggio Emilia, inauguratasi nell’ambito del Festival europeo di fotografia (a cura di Associazione Ics e Laura Gasparini, visitabile fino al 17 giugno) narra la biografia di un prodotto editoriale che, nonostante l’avvento del web e delle storie effimere pubblicate su Istagram, non ha ancora visto la sua fine, rinascendo a nuova vita in riviste, su internet e diventando materia di studio per gli accorgimenti grafici, il «montaggio delle emozioni», la fabbricazione del mito, il taglio espressionista delle immagini (alternanza primi piani, campi lunghi, esterni/interni, etc).

È così contemporaneo che si è pensato di continuarlo pure in mostra, dando l’avvio a un racconto digitale che riproduce oggi un soggetto di Cesare Zavattini scritto per la Bolero Film nel 1961 e subito trasformatosi in un fotoromanzo a puntate col titolo La colpa (con happy end non previsto nell’originale). Il testo dattiloscritto di Zavattini è stato ripescato dagli archivi della sua fondazione nella biblioteca Panizzi. Il tema snocciolato è attualissimo: al centro degli accadimenti, c’è uno stupro e l’isolamento sociale che ne consegue per la ragazza-vittima, marchiata d’infamia.

Ma la rassegna, assai ben congegnata, offre l’occasione per addentrarsi nelle tumultuose vicende politiche del fotoromanzo, da Famiglia Cristiana a Noi donne fino al Pci. Paola Pitagora, per esempio, ne Il segreto propagandava l’uso contraccettivo della pillola. Il partito comunista ebbe un atteggiamento controverso nei riguardi dei fotoromanzi.

Da una parte, furono considerati prodotti di sottocultura di derivazione americana, dall’altra suscitarono interesse come mezzo di comunicazione leggero e invasivo, che facilmente raggiungeva le zone rurali. Come il fotoromanzo siciliano Per chi vota Caterina Pipitone (1953) che testimoniava il disagio delle classi meno abbienti per favorire il Pci alle elezioni. O, fra gli altri, L’amore vince sempre del ’55 che si diffuse a Roma come opuscolo di propaganda.

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MOSTRA

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Ambiziosamente tua - Amore e classi sociali

Mostra che racconta il fenomeno culturale e sociale del fotoromanzo nell'Italia del dopoguerra. A Cortona.

Siamo nel 1947: l’Italia è appena uscita da cinque anni di guerra. Ci sono più di due milioni di disoccupati e l’inflazione batte tutti i record. Malgrado una situazione socio economica così drammatica, qualcuno intuisce che l’Italia ha bisogno di sognare, ed è così che nasce il fotoromanzo. Nascita di un fenomeno sociale A poche settimane di distanza l’una dall’altra le riviste Il mio Sogno (opera del giornalista Stefano Reda) e Bolero film (di Mondadori) pubblicano i primissimi fotoromanzi. A Luciano Pedrocchi direttore di Bolero film viene attribuita l’invenzione del termine fotoromanzo comparso sul primo numero della rivista, ma Cesare Zavattini, che dirigeva il Milione dal 1939, aveva forse preceduto l’idea del Pedrocchi con una rubrica Una giornata con…, un racconto tipo fotoromanzo che univa testo e foto creando un processo narrativo ripreso poi nel fotoromanzo. Il fotoromanzo fa scandalo Il successo è immediato, ma si attira anche critiche sferzanti, stroncature, sdegni e censure da ogni fronte. Per gli intellettuali rappresenta una sotto letteratura, per i cattolici è immorale perché ci si bacia fuori dal matrimonio e le donne abbandonano il letto coniugale in un’epoca in cui l’adulterio femminile è ancora passibile di reclusione carceraria. Nel 1959 nella sua enciclica Ad Pedri Cathedram papa Giovanni XXIII mette in guardia il suo gregge contro “quei libri e giornali che si stampano per irridere la virtù e coonestare il vizio”. Sul fronte opposto i comunisti vi vedono un nuovo oppio dei popoli. Oggi non è facile comprendere simili critiche e sarcasmo. L’esposizione di Cortona mostra i tesori fotografici – alcuni dei quali inediti – della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori che conserva i negativi e le prime prove fotografiche di diverse centinaia di fotoromanzi pubblicati nella rivista Bolero film tra il 1947 e la fine degli anni ‘70.

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PADOVA

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PADOVA - LOCATION - FOTOROMANZO 2025


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FOTOROMANZO

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FOTOROMANZO ITALIANO

CO-OP Unseen CRONACA DI UN VIAGGIO ALL’ESTERO di Michele Apicella

Attraversare la Svizzera trasportando opere d’arte non è burocraticamente semplice, per questo motivo i fotoromanzieri Botto e Barrera, con l’obiettivo di giungere ad Amsterdam, decisero di circumnavigarla. All’altezza di Vipiteno, però, la loro auto, completamente carica di materiale di ogni sorta, a partire dalla moquette fucsia che avrebbe caratterizzato il loro stand, durante un sorpasso, smise di accelerare. Usciti dall’autostrada si fermarono presso un meccanico che diagnosticò un problema alla turbina e, senza poterla riparare, restituì l’auto comunque funzionante. Giunsero ad Amsterdam ma non senza patemi, perché il problema, durante la traversata della Germania si ripresentò. La mattina al loro arrivo allestirono lo stand. Sul lato destro campeggiava un posterone a parete con divano e con disegni quadrati in diverse tonalità di rosa che simulava l’interno di una stanza e ospitava, appese, le opere che i fotoromanzieri dopo mesi di lunghe ricerche e lavoro avevano selezionato e prodotto. Un poster, nella parete di fronte a quella di accesso allo stand, indicava il loro proposito neorealitystico, accanto al quale era presente un set fotografico. Era la loro prima apparizione all’estero e scelsero “Become a Photonovel Star” quale titolo della loro azione.

Il collettivo, invitato da Lars Willumeit, decise di realizzare un progetto site-specific in collaborazione con Francesca Seravalle: si presentò quindi come un’agenzia di produzione di fotoromanzi che lanciava la campagna di scounting denominata appunto “Become a Photonovel Star”. Fecero leva sulla vanità e sul desiderio di apparire dei visitatori e nei giorni della fiera chiesero loro di essere fotografati interpretando i vari personaggi di un ipotetico fotoromanzo da realizzare. I ritratti post-prodotti ed editati con le classiche vignette, furono poi inviati ai diretti interessati in formato digitale e proposti anche come stampe in vendita. Oltre al set fotografico e le opere fotografiche nello stand si potevano trovare, su una scrivania, pubblicazioni e gadget. I gadget erano in carne ed ossa ma anche raccolti in un estroso Inspirational Catalogue, assolutamente da avere nella propria libreria e dal quale scegliere i regali più intriganti per tutte le occasioni. Fra questi anche la passata di pomodoro a marchio Fotoromanzo Italiano.

Ma non è finita qui perché i nostri fotoromanzieri furono chiamati a partecipare alla Meijburg Art Commission e perciò gli venne richiesto di fare un nuovo progetto. Furono fra i finalisti con lo scontento palesato di tutti i dipendenti dell’azienda che, durante la cerimonia di premiazione, andarono come pellegrini ad omaggiarli. Per la commission proposero un progetto dal titolo “The Looking Game” in cui intendevano realizzare un estratto da un fotoromanzo di fantasia, una rivisitazione contemporanea del suo linguaggio, da allestire come installazione a parete. La produzione e le riprese si sarebbero svolte tra l’Italia e i Paesi Bassi e il racconto sarebbe stato composto di frammenti e immagini dialettiche che avrebbero condotto fino a una mise en abyme, a travolgere lo spettatore in una storia dentro un’altra.

Un grande successo, dunque, per i nostri fotoromanzieri Barrera e Botto, che furono fra gli ultimi a lasciare il sito della fiera, preoccupati come erano di rimuovere ogni traccia del collante dal pavimento che era stato posto per garantire aderenza alla moquette fucsia della quale erano orgogliosi, molto orgogliosi.

Al rientro, il problema della dogana Svizzera si ripresentò, ma i nostri eroi vollero tentare di attraversarla cercando uno spedizioniere che si prendesse la responsabilità di fare una dichiarazione per loro conto. Nessuno, non trovarono nessuno. Dovettero passare dalla Francia, il traforo del Monte Bianco, risultò chiuso e dovettero scendere fino al Frejus. La macchina aveva sempre il solito problema e la giratina in Francia costò molto tempo e denaro. Quasi all’alba giunsero a Milano dove i Navigli li attendevano per scrivere nuove fotoromanzate.

Allestimento Opere Inspiration Catalogue Ritratti Meijburg Art Commission