RICORDAMI

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RICORDAMI PER SEMPRE

Ricordami per sempre: regia di Giulio Mozzi e Marco Signorini - fotografie di Marco Signorini – soggetto di Giulio Mozzi

Il Museo di Fotografia Contemporanea presenta un progetto dedicato al fotoromanzo, forma di comunicazione popolare assai diffusa nella cultura e nella società italiana tra gli anni ’50 e ’70.

Il progetto si articola nella produzione di un vero e proprio fotoromanzo d’autore, due mostre e un convegno e viene realizzato grazie al contributo della Regione Lombardia, D.G. Cultura - Archivio di Etnografia e Storia Sociale, che ha visto nel fotoromanzo un'opportunità innovativa di promozione del R.E.I.L. Registro delle Eredità Immateriali, dichiarate patrimonio da salvaguardare dall'Unesco.

IL FOTOROMANZO D'AUTORE. "Ricordami per sempre" è il titolo del fotoromanzo prodotto dal Museo.

La storia è quella di Lorenzo, 55 anni, ex operaio della Falck di Sesto San Giovanni trasferitosi al Sud, che torna nella città per ritrovare una donna che ha conosciuto da ragazzo e che occasionalmente compariva nei fotoromanzi di “Grand Hotel”. Comincia così una lunga ricerca nei territori del Nord Milano, tra le fabbriche dismesse e le città in mutamento.

Il fotografo incaricato dal Museo è Marco Signorini, autore tra i più interessanti della scena fotografica italiana, attento da anni al rapporto tra figura umana e paesaggio contemporaneo.

La storia è affidata a Giulio Mozzi, scrittore e consulente editoriale per Einaudi, il cui stile semplice e riflessivo ben si adatta all'indagine sul territorio e sulla forma stessa del fotoromanzo.

I protagonisti e le comparse sono state scelte nel Nord Milano, con un casting pubblico al quale tutti i cittadini sono stati invitati a partecipare. Alcuni hanno recitato una parte; altri sono comparsi nei panni di loro stessi, nelle loro case o nei loro negozi.

Le riprese si sono concentrate nel mese di luglio 2011 nei comuni di Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo.

La realizzazione di un fotoromanzo rappresenta per il Museo l’occasione per sperimentare una versione colta e ironica di questo linguaggio popolare e costituisce una sfida innovativa con cui mettere alla prova non solo gli autori e i linguaggi della fotografia e della parola, ma il rapporto con i media, il pubblico, il territorio.

Il fotoromanzo viene distribuito gratuitamente a partire dal 22 ottobre negli uffici pubblici e nei luoghi di cultura del Nord Milano, nelle biblioteche e nelle edicole dei comuni in cui è ambientata la storia.

Il progetto è curato da Matteo Balduzzi, Fiorenza Melani e Diego Ronzio.

LE MOSTRE.

In occasione della pubblicazione di "Ricordami per sempre", il Museo di Fotografia Contemporanea presenta nella sua sede due mostre dedicate al fotoromanzo.

La prima mostra, Ricordami per sempre, a cura di Matteo Balduzzi, è dedicata al fotoromanzo prodotto dal Museo, e si articola in una installazione che presenta l’intero fotoromanzo, una serie di ingrandimenti di fotografie Marco Signorini, una mappa dei luoghi in cui è stato girato il fotoromanzo e dei personaggi/interpreti, immagini di backstage, interviste e materiali raccolti sul campo sulla produzione del fotoromanzo nei territori del Nord Milano (a cura di Guido Bertolotti).

La seconda mostra, di taglio informativo-didattico, dal titolo Scene da fotoromanzo, a cura di Silvana Turzio, presenta una grande varietà di materiali originali (tavole, impaginati, locandine di film) e riprodotti su carta e a video (stralci da fotoromanzi, famose copertine), oltre che opere in film e in fotoromanzo di Federico Fellini (La dolce vita, La strada, Lo sceicco bianco, Mandrake). Una sorta di “carotaggio” che offre al pubblico porzioni della grande varietà delle produzioni legate al genere del fotoromanzo.


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CHINA

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Allan Sekula: Questa Non È La Cina - 27 ottobre – 15 dicembre 2012 - Galleria SFU

Questa Non È La Cina di Allan Sekula è un'opera foto/testo basata sulla performance del 1974 che analizza le relazioni lavorative in un ristorante fast food. È composta da fotografie, un diagramma e un testo accompagnatorio. Sekula ha preso l'idea che “un palcoscenico è un luogo dove può succedere di tutto” e l'ha trasferita nel luogo di lavoro, dove “un cantiere è un luogo dove può succedere di tutto”. La mostra include anche una trasparenza retroilluminata più recente intitolata Eyes Closed Assembly Line, 2010, che ritrae un lavoratore di una fabbrica cinese, collegando il progetto precedente a condizioni lavorative più recenti sotto il capitalismo globale.

Curata da Bill Jeffries e Melanie O’Brian.

Allan Sekula: This Ain’t China October 27 – December 15, 2012 SFU Gallery

Allan Sekula's This Ain't China is a performance-based photo/text work from 1974 that analyzes labour relations in a fast food restaurant. It consists of photographs, a diagram and accompanying text. Sekula took the idea that “a stage is a place where anything can happen” and transferred it to the workplace where “a job site is a place where anything can happen”. The exhibition also includes a more recent backlit transparency entitled Eyes Closed Assembly Line, 2010 of a Chinese factory worker, connecting the earlier project to more recent working conditions under global capitalism.

Curated by Bill Jeffries and Melanie O’Brian.


Lo chef amava credere che la sua storia ruotasse attorno a una parabola sui meriti relativi di fatto e finzione nella lotta di classe quotidiana. —da This Ain’t China: A Photonovel (1974) di Allan Sekula. L'opera foto-testuale di Allan Sekula del 1974, This Ain’t China: A Photonovel, annuncia l'attenzione precoce dell'artista verso la Cina come contrappunto ai paradigmi occidentali di produzione—culturale ed economica. L'opera combina una (meta)narrativa con fotografie messe in scena, scattate nello spirito di Jean-Luc Godard (in una fase maoista e canalizzando Bertolt Brecht). La trama di Sekula riguarda i dipendenti di un ristorante a basso costo di San Diego (compreso l'artista), tutti intenti a riflettere sulle condizioni di lavoro e di vita, e a pianificare uno sciopero—un microcosmo implicato in un immaginario globale, trasformato dalla presenza di una cultura diversa. This Ain’t China è stata realizzata in un periodo di grande interesse—specialmente tra artisti e intellettuali occidentali di sinistra—per le possibilità del maoismo. Eppure, l'esempio contrario della Cina, e la sua negazione, rimangono sfuggenti. Nella maniera ambigua in cui è evocata, la Cina potrebbe essere sia il paese al culmine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria sia la fine porcellana (porcellana o "fine china").

Presentare l'opera nel 2010 solleva la questione di come entrambe queste Cinesi—così come la Repubblica Popolare di oggi, con il suo (sempre enigmatico) abbraccio della produzione e del consumo capitalistico con un volto comunista—continuino a configurare immaginari di forme alternative di produzione. Il photonovel del 1974 di Sekula è abbinato a un nuovo lavoro: una trasparenza retroilluminata realizzata per la vetrina dello spazio e-flux in Essex Street nel Chinatown di New York. L'immagine è stata catturata mentre l'artista svolgeva ricerche in una delle "zone economiche speciali" della Cina vicino alla città portuale di Guangzhou per un documentario imminente sulle condizioni di lavoro nei porti più attivi del mondo. Mostra una giovane lavoratrice cinese in fabbrica che tiene in mano parte di un elettrodomestico che sta aiutando a produrre, con gli occhi chiusi. L'immagine può essere vista come una prova del passaggio di Sekula dalla fotografia in scena a un approccio documentaristico e apre una questione riguardante i percorsi dell'artista verso il realismo. Eppure, la nuova immagine condivide un elemento di rifiuto con il precedente photonovel.

Una mostra personale di due opere, This Ain’t China: A Photonovel (1974) e Eyes Closed Assembly Line (2010), consente quindi al visitatore di tracciare traiettorie chiave per l'intera pratica di Allan Sekula. L'indagine del suo particolare interesse per la Cina porta ad altre questioni riguardanti la politica e l'estetica del rifiuto della classe lavoratrice, ciò che potremmo chiamare un'"attitudine del non è."

This Ain’t China è aperta al pubblico da martedì a sabato, dalle 12:00 alle 18:00, in 41 Essex Street, piano inferiore.

Allan Sekula è un artista la cui innovazione nella pratica e nella teoria fotografica si concentra sull'impegno di forme documentarie e performative in una critica sostenuta della globalizzazione economica, sociale e culturale. Ha esposto ampiamente nel contesto di importanti esposizioni internazionali, tra cui documenta 11 e 12. Nel 2003, Performance Under Working Conditions, una grande retrospettiva con una pubblicazione sul suo lavoro, è stata organizzata dalla Generali Foundation a Vienna. Attualmente, una selezione di opere che coprono la carriera dell'artista, comprese opere early e una nuova serie, è stata riunita in Polonia e Altre Favole, che farà tappa alla Renaissance Society di Chicago; alla Zacheta National Gallery of Art di Varsavia; al Museum Ludwig di Budapest e al Belfast Exposed.

Monika Szewczyk è una scrittrice, editrice e curatrice occasionale con sede a Berlino e Rotterdam, dove è responsabile delle pubblicazioni presso Witte de With, Centro per l'Arte Contemporanea. La sua collaborazione con Allan Sekula, incentrata su This Ain’t China: A Photonovel, continua nell'estate del 2010 quando il photonovel e una selezione di nuove fotografie saranno presentati nella mostra collettiva Nether Land (Atto VIII del programma multi-part della Witte de With con il leitmotiv della 'moralità'), che sarà presentata nel contesto dell'Expo Universale 2010 presso il Centro Culturale Olandese a Shanghai.


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FOTOROMANZO

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In Italia è negli ambienti della sinistra alternativa dei primi anni Settanta che il fotoromanzo inizia ad essere utilizzato come strumento di denuncia e di satira politica e culturale.

Nel 1972 escono tre fotoromanzi realizzati dal Gruppo Sturm (Architettura Strumentale) di Torino per la mostra “Italy: The New Domestic Landscape” che si tiene al MoMa di New York. Si tratta di tre fascicoli graficamente innovativi per l’epoca che denunciano il degrado urbano, presentano proposte urbane utopiche ed illustrano metodi utili a cambiare lo stato di cose.

«Sollecitano la sovversione delle regole dell’architettura classica a sostegno delle rivendicazioni dei numerosi immigrati dal Sud che vivono a Torino in condizioni molto difficili. Il tema in effetti è scottante. Negli anni ’60 la città conosce infatti uno sviluppo improvviso e non pianificato che impone ai nuovi arrivati condizioni di vita al limite del decoro e della vivibilità: appartamenti fatiscenti in centro città e baracche in periferia con prezzi d’affitto insostenibili per un operaio».

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