CHINA

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Allan Sekula: Questa Non È La Cina - 27 ottobre – 15 dicembre 2012 - Galleria SFU

Questa Non È La Cina di Allan Sekula è un'opera foto/testo basata sulla performance del 1974 che analizza le relazioni lavorative in un ristorante fast food. È composta da fotografie, un diagramma e un testo accompagnatorio. Sekula ha preso l'idea che “un palcoscenico è un luogo dove può succedere di tutto” e l'ha trasferita nel luogo di lavoro, dove “un cantiere è un luogo dove può succedere di tutto”. La mostra include anche una trasparenza retroilluminata più recente intitolata Eyes Closed Assembly Line, 2010, che ritrae un lavoratore di una fabbrica cinese, collegando il progetto precedente a condizioni lavorative più recenti sotto il capitalismo globale.

Curata da Bill Jeffries e Melanie O’Brian.

Allan Sekula: This Ain’t China October 27 – December 15, 2012 SFU Gallery

Allan Sekula's This Ain't China is a performance-based photo/text work from 1974 that analyzes labour relations in a fast food restaurant. It consists of photographs, a diagram and accompanying text. Sekula took the idea that “a stage is a place where anything can happen” and transferred it to the workplace where “a job site is a place where anything can happen”. The exhibition also includes a more recent backlit transparency entitled Eyes Closed Assembly Line, 2010 of a Chinese factory worker, connecting the earlier project to more recent working conditions under global capitalism.

Curated by Bill Jeffries and Melanie O’Brian.


Lo chef amava credere che la sua storia ruotasse attorno a una parabola sui meriti relativi di fatto e finzione nella lotta di classe quotidiana. —da This Ain’t China: A Photonovel (1974) di Allan Sekula. L'opera foto-testuale di Allan Sekula del 1974, This Ain’t China: A Photonovel, annuncia l'attenzione precoce dell'artista verso la Cina come contrappunto ai paradigmi occidentali di produzione—culturale ed economica. L'opera combina una (meta)narrativa con fotografie messe in scena, scattate nello spirito di Jean-Luc Godard (in una fase maoista e canalizzando Bertolt Brecht). La trama di Sekula riguarda i dipendenti di un ristorante a basso costo di San Diego (compreso l'artista), tutti intenti a riflettere sulle condizioni di lavoro e di vita, e a pianificare uno sciopero—un microcosmo implicato in un immaginario globale, trasformato dalla presenza di una cultura diversa. This Ain’t China è stata realizzata in un periodo di grande interesse—specialmente tra artisti e intellettuali occidentali di sinistra—per le possibilità del maoismo. Eppure, l'esempio contrario della Cina, e la sua negazione, rimangono sfuggenti. Nella maniera ambigua in cui è evocata, la Cina potrebbe essere sia il paese al culmine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria sia la fine porcellana (porcellana o "fine china").

Presentare l'opera nel 2010 solleva la questione di come entrambe queste Cinesi—così come la Repubblica Popolare di oggi, con il suo (sempre enigmatico) abbraccio della produzione e del consumo capitalistico con un volto comunista—continuino a configurare immaginari di forme alternative di produzione. Il photonovel del 1974 di Sekula è abbinato a un nuovo lavoro: una trasparenza retroilluminata realizzata per la vetrina dello spazio e-flux in Essex Street nel Chinatown di New York. L'immagine è stata catturata mentre l'artista svolgeva ricerche in una delle "zone economiche speciali" della Cina vicino alla città portuale di Guangzhou per un documentario imminente sulle condizioni di lavoro nei porti più attivi del mondo. Mostra una giovane lavoratrice cinese in fabbrica che tiene in mano parte di un elettrodomestico che sta aiutando a produrre, con gli occhi chiusi. L'immagine può essere vista come una prova del passaggio di Sekula dalla fotografia in scena a un approccio documentaristico e apre una questione riguardante i percorsi dell'artista verso il realismo. Eppure, la nuova immagine condivide un elemento di rifiuto con il precedente photonovel.

Una mostra personale di due opere, This Ain’t China: A Photonovel (1974) e Eyes Closed Assembly Line (2010), consente quindi al visitatore di tracciare traiettorie chiave per l'intera pratica di Allan Sekula. L'indagine del suo particolare interesse per la Cina porta ad altre questioni riguardanti la politica e l'estetica del rifiuto della classe lavoratrice, ciò che potremmo chiamare un'"attitudine del non è."

This Ain’t China è aperta al pubblico da martedì a sabato, dalle 12:00 alle 18:00, in 41 Essex Street, piano inferiore.

Allan Sekula è un artista la cui innovazione nella pratica e nella teoria fotografica si concentra sull'impegno di forme documentarie e performative in una critica sostenuta della globalizzazione economica, sociale e culturale. Ha esposto ampiamente nel contesto di importanti esposizioni internazionali, tra cui documenta 11 e 12. Nel 2003, Performance Under Working Conditions, una grande retrospettiva con una pubblicazione sul suo lavoro, è stata organizzata dalla Generali Foundation a Vienna. Attualmente, una selezione di opere che coprono la carriera dell'artista, comprese opere early e una nuova serie, è stata riunita in Polonia e Altre Favole, che farà tappa alla Renaissance Society di Chicago; alla Zacheta National Gallery of Art di Varsavia; al Museum Ludwig di Budapest e al Belfast Exposed.

Monika Szewczyk è una scrittrice, editrice e curatrice occasionale con sede a Berlino e Rotterdam, dove è responsabile delle pubblicazioni presso Witte de With, Centro per l'Arte Contemporanea. La sua collaborazione con Allan Sekula, incentrata su This Ain’t China: A Photonovel, continua nell'estate del 2010 quando il photonovel e una selezione di nuove fotografie saranno presentati nella mostra collettiva Nether Land (Atto VIII del programma multi-part della Witte de With con il leitmotiv della 'moralità'), che sarà presentata nel contesto dell'Expo Universale 2010 presso il Centro Culturale Olandese a Shanghai.


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Questa Non È La Cina di Allan Sekula è un'opera foto/testo basata sulla performance del 1974 che analizza le relazioni lavorative in un ristorante fast food. È composta da fotografie, un diagramma e un testo accompagnatorio. Sekula ha preso l'idea che “un palcoscenico è un luogo dove può succedere di tutto” e l'ha trasferita nel luogo di lavoro, dove “un cantiere è un luogo dove può succedere di tutto”. La mostra include anche una trasparenza retroilluminata più recente intitolata Eyes Closed Assembly Line, 2010, che ritrae un lavoratore di una fabbrica cinese, collegando il progetto precedente a condizioni lavorative più recenti sotto il capitalismo globale.

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In Italia è negli ambienti della sinistra alternativa dei primi anni Settanta che il fotoromanzo inizia ad essere utilizzato come strumento di denuncia e di satira politica e culturale.

Nel 1972 escono tre fotoromanzi realizzati dal Gruppo Sturm (Architettura Strumentale) di Torino per la mostra “Italy: The New Domestic Landscape” che si tiene al MoMa di New York. Si tratta di tre fascicoli graficamente innovativi per l’epoca che denunciano il degrado urbano, presentano proposte urbane utopiche ed illustrano metodi utili a cambiare lo stato di cose.

«Sollecitano la sovversione delle regole dell’architettura classica a sostegno delle rivendicazioni dei numerosi immigrati dal Sud che vivono a Torino in condizioni molto difficili. Il tema in effetti è scottante. Negli anni ’60 la città conosce infatti uno sviluppo improvviso e non pianificato che impone ai nuovi arrivati condizioni di vita al limite del decoro e della vivibilità: appartamenti fatiscenti in centro città e baracche in periferia con prezzi d’affitto insostenibili per un operaio».

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FOTOROMANZO

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Anche sul fronte cattolico alcune riviste decidono di ospitare fotoromanzi, tra queste «Famiglia Cristiana», pubblicazione che da una tiratura alla nascita nel 1931 di circa 300 mila copie, passa poi alle 750 mila nel 1956, alle 900 mila nel 1959, al milione nel 1961 fino a toccare i 2 milioni di copie a fine 1971 divenendo, nel corso degli anni Settanta, il settimanale più venduto in Italia. Per quanto riguarda la qualità dei servizi fotografici e della stampa, la rivista paolina rivaleggia con i periodici di maggior successo dell’epoca.

Il rapporto della Chiesa con le novità tecnologiche dei mezzi di comunicazione è notoriamente problematico: se da un lato viene incoraggiato il loro uso per «Portare Cristo oggi, con i mezzi di oggi» – si pensi alla produzione di cortometraggi, documentari e film della Sampaolofilm –, dall’altro però si avverte la necessità di istituire sistemi censori volti a preservare il pubblico da eventuali messaggi diseducativi e contrari alla morale cristiana.

Nel volume vengono dettagliatamente presi in esame un paio di fotoromanzi che affrontano il tema del celibato e dell’impegno sociale: La miniera del miracolo (1967) ed Il rifiuto (1967). Nel primo si narra del coinvolgimento di un prete nel mondo dei minatori, con annesse tragedie sul lavoro, e del problema del celibato sacerdotale, mentre nel secondo è di scena la questine dello scontro generazionale, in linea con il tentativo della Chiesa di «proporre un equilibrio tra gli effetti del boom economico e le lotte operaie e sindacali che si profilavano all’orizzonte»

Ad essere affrontate sono anche la procreazione extramatrimoniale, l’identità femminile al di fuori della famiglia e l’imposizione parentale sulla scelta lavorativa o affettiva delle donne, tematiche trattate all’epoca anche dai fotoromanzi delle testate non cattoliche, «Noi Donne» compresa. Se nelle produzioni “laiche” si assiste ad un evidente miglioramento della qualità fotografica, che adotta il colore, «Famiglia Cristiana» si ostina al bianco e nero evitando di curare l’aspetto fotografico ritenendolo esclusivamente funzionale alla narrazione scritta. La stagione del fotoromanzo sulla rivista cattolica può dirsi terminare attorno alla metà degli anni Settanta.


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COPERTINA

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FEDERICO VENDER

RITRATTI FEMMINILI

FOTOGRAFIA, FOTOGRAFO, FOTOROMANZO

Libretto: "Occhio magico" N°3

Sopracopertina macchiata, vedi foto.

Ritratti femminili di Federico Vender

Milano - MCMXLV


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FEDERICO VENDER

Archivio Federico Vender

Meticolosamente ordinata e corredata di preziosi documenti autografi, l'opera di una vita di Federico Vender, che ne ha fatto dono alla Provincia autonoma di Trento, consente di seguire l'evoluzione creativa e le modalità operative di un grande fotografo di metà Novecento

La donazione di Federico Vender(1901-1999), formata da circa 5.500 fototipi (2.200 negativi, oltre 2.000 provini, 434 diapositive e 855 positivi originali), è stata formalizzata nel 1993 per volontà dell'autore che ha voluto vedere la propria opera custodita presso un ente che gli garantisse la conservazione e la fruibilità con intenti esclusivamente culturali.

Le prime riviste illustrate specialistiche, la frequentazione degli ambienti dell'architettura milanese, il lavoro di dirigente in un'industria serica lo misero a contatto con molte immagini provenienti dal mondo della fotografia internazionale. La sua iniziale fonte di ispirazione fu, comunque, la fotografia pittorialista inglese caratterizzata soprattutto dalla ritrattistica e dal paesaggio a basso tono. Sono degli anni degli esordi La bilancia (1933), Stazione di Milano (1934), La fontanella (1935); nel 1934 con Riposo a Camogli , verrà segnalato ad una mostra - concorso del London Salon of Photography. Ben presto superò questa fase influenzato dalle immagini e dai nuovi indirizzi della fotografia, negli anni '20 del Novecento dettati dalla Germania e dagli Stati Uniti, con l'affermarsi della Neue Sachlicheit. Gli architetti Giò Ponti e Giuseppe Pagano furono i primi in Italia ad applicare le nuove regole del modernismo architettonico riprese dal Bauhaus: gli anni '30 per la cultura visiva italiana furono il momento cruciale per il suo rinnovamento nonostante che sia il pittorialismo che la fotografia ufficiale del fascismo imponessero fortemente i loro dettami. Il futurismo italiano, sia pure con le personalità dei Bragaglia, non riuscì a proporsi come punto di richiamo; fu piuttosto la metafisica che richiamò l'attenzione di alcuni fotografi quali Giuseppe Cavalli mentre, contemporaneamente, la lezione estrema di Christian Schad, Lazlo Moholy Nagy e Man Ray colpì il solo Luigi Veronesi. Con la pubblicazione di Die Welt ist schön nel 1928 di Albert Renger-Patsch e la grande esposizione Film und Foto di Stoccarda del 1929, della quale Vender possedeva il catalogo Foto Auge curato da Franz Roh e Jan Tschichold, la "nuova obiettività"verrà accolta con interesse negli ambienti antiaccademici, negli studi degli architetti e designers . L'insegnamento che daranno riviste come "Domus", "Casabella", "Zodiac", "Abitare" e le pubblicazioni specializzate come "Il progresso fotografico", "Galleria", "Il corriere fotografico" con il suo annuario "Luci ed ombre" e libri come Tre concetti per fotografi moderni (1934) di Mario Bellavista e ancora mostre come quella di Monza del 1927, la prima triennale di Roma del 1933, la quinta triennale di Milano dello stesso anno, il quinto salone di Torino nel 1937 che propose i temi di Film und foto ed espose opere di Edward Weston, Alfred Stiegliz, Paul Strand diffuse questo nuovo approccio alla fotografia. L'idealismo crociano ben si associò alla versione italiana di queste nuove cifre stilistiche e trovò i suoi maggiori fautori in Giuseppe Cavalli, Mario Finazzi, Federico Vender che fecero uso del tono alto , della luce mediterranea (peraltro già proposte con i famosi paesaggi invernali dei Pedrotti fin dagli inizi degli anni '30); non a caso, nel dopoguerra, saranno loro a proporre il famoso manifesto della Bussola. Anche sotto questo aspetto il mondo germanico fornirà i modelli per primo. Autori come Florence Henry nel 1936, Herbert Bayer a Milano nel 1937, Herbert List, Raoul Hausmann ed il russo Georg Henygen-Huene, pubblicarono le loro fotografie su riviste di moda scegliendo il Mediterraneo come luogo dei loro soggiorni. In questo particolare momento Vender si affermò, oltre che nel già citato London salon of Photography , pubblicando su Deutscher Kamera Almanac e The American Annual of Photography del 1938, in Italia con la partecipazione al prestigioso editoriale della "Domus" (1943) dove sono presenti con nove immagini anche i fratelli Pedrotti. Nel dopoguerra Vender si trovò tra i promotori del manifesto della Bussola, contemporaneamente subì le suggestioni del neorealismo, in particolare nel ritratto, e cominciò ad occuparsi professionalmente di moda, con l'industria Ferrania e con la Carl Zeiss-Linhof. Agli inizi degli anni '50 venne assunto come fotografo dalla Rizzoli prima e dalla Delduca poi per le illustrazioni dei fotoromanzi. Con questo gravoso impegno in un nuovo settore della pubblicistica, Vender diminuì l'attività di ricerca. I riconoscimenti si fecero comunque sempre più importanti: invitato dalla "U.S. Camera" nel 1951, alla mostra Les maîtres de la camera a Parigi nel 1952 e al MOMA di New York nel 1962. La sua opera va collocata in canoni ben precisi di ordine, di pulizia, formalmente coerenti ai propri principi estetici vicini a quell'idealismo neutrale che consentì, anche ai suoi amici della Bussola, di proporre all'attenzione mondiale una fotografia che, forse non del tutto a ragione, è stata indicata come precipuamente italiana.

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FEDERICO VENDER

Un centinaio di scatti realizzati dal fotografo di origini trentine Federico Vender saranno in mostra a Trento al Palazzo delle Albere fino al 10 dicembre 2017. Venticinque anni sono trascorsi da quando Federico Vender (1901-1999), nel suo ritiro di Arco, offrì alla Provincia autonoma di Trento il suo ricco archivio di fotografie e documenti, oggi tra i fondi più preziosi dell’Archivio Fotografico Storico della Soprintendenza per i beni culturali; settanta da quando il maestro di origini trentine, all’apice della sua carriera di raffinato fotoamatore, fu tra i firmatari del manifesto del Gruppo fotografico “La Bussola”, nato a Milano nel 1947 con l’obiettivo di promuovere un profondo rinnovamento della cultura fotografica italiana. Parte da qui il progetto espositivo organizzato dalla Soprintendenza di concerto con il Servizio Attività Culturali, l’Ufficio per il Sistema Bibliotecario trentino e partecipazione culturale, la Fondazione Museo Storico del Trentino e la Trentino Film Commission, con l’obiettivo di valorizzare anche aspetti finora poco noti dell’opera di un grande fotografo di levatura internazionale. La mostra, in programma nel periodo 8 settembre – 10 dicembre 2017 nella storica cornice di Palazzo delle Albere, proporrà infatti un percorso inedito tra foto di scena, corpi flessuosi di modelle, creazioni di haute couture, icone del cinema e dei ‘fumetti fotografici’. Proprio in quegli anni, Vender passava al professionismo, debuttando come direttore della fotografia nel contesto della prima effervescente stagione dei fotoromanzi, diffusi a partire dal 1947 – ancora un settantenario – e destinati a imporsi come il più originale contributo italiano alla cultura di massa. Il fondo Vender ne conserva una suggestiva testimonianza, che include stampe vintage per la maggior parte riconducibili a tre ambiziosi adattamenti di classici – La voce nella tempesta, Anna Karenina e La signora dalle camelie – apparsi nei primi anni Cinquanta sulla rivista della Rizzoli “Luci del luna park”. Sono presenti anche efficaci fotografie di backstage, che documentano la matrice cinematografica della produzione e ne celebrano i ‘divi di carta’. Attori, ma soprattutto attrici, indossatrici, modelle e aspiranti vedette sfilano regolarmente di fronte all’obiettivo del fotografo, formando un vivace catalogo di modelli femminili e ‘volti da copertina’. Pressato dagli impegni professionali, Vender non rinuncia, tuttavia, alle sue rigorose ricerche formali, premiate da importanti riconoscimenti internazionali: due percorsi paralleli, apparentemente contrastanti, che in realtà spesso si intrecciano trovando un punto comune nella sua riconosciuta abilità di ritrattista. Filo rosso della mostra sarà dunque il mondo perfetto e fittizio del set, a contrasto con i rari ma stupendi ritratti di vecchi e popolani realizzati lontano dalla ribalta, in un’Italia non ancora trasformata dal miracolo economico. Fotografia, letteratura, moda. Per immergersi nel mondo affascinante dischiuso dalle fotografie di Vender, la mostra proporrà anche una speciale biblioteca temporanea: suggerimenti per bambini, ragazzi e adulti, tratti dalle più significative e originali proposte dell’editoria internazionale. Per rendere più efficace e ricca la ricostruzione della moda e del gusto negli anni Cinquanta, saranno proposti infine selezionati confronti con abiti e accessori degli anni Cinquanta, raccolti grazie alla liberalità di privati collezionisti.


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