Tra l’inizio degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Settanta, l’editoria italiana è segnata dalla rapida diffusione e dall’altalenante successo di una particolare tipologia di riviste para-cinematografiche, note oggi come cineromanzi. Pensate per un pubblico prima femminile e poi maschile, queste testate offrivano sulle loro pagine novellizzazioni a fumetti di pellicole coeve che, grazie all’uso di fotogrammi o fotografie di scena corredati di balloon e didascalie, permettevano alle lettrici e ai lettori di fruire di un lungometraggio in modo alternativo, svincolandone la visione dallo spazio della sala. Ragionando su un duplice aspetto che vede il cineromanzo come formato editoriale, da un lato, e come fenomeno culturale, dall’altro, Fotogrammi di carta propone una riflessione ad ampio raggio su questa realtà multiforme e complessa, facendo dialogare prospettive di analisi tradizionalmente contenutistico-formali con punti di vista affini alle diverse branche degli studi culturali.
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CINEROMANZI
CINEROMANZI
I cineromanzi sono stati un fenomeno di straordinario successo negli anni Cinquanta, una specialità tutta italiana, un pezzo di storia dell’editoria popolare dimenticato nei decenni, un incrocio bizzarro tra il cinema e le letture di massa. A questo straordinario e affascinante fenomeno il Museo Nazionale del Cinema ha dedicato una mostra sorprendente e ricchissima, basata sulla collezione personale di Gianni Amelio, oltre che sui materiali appartenenti alle collezioni del Museo. La mostra ospitata all’Archivio di Stato di Torino ha esposto circa 200 cineromanzi originali, all’interno di un allestimento ricco di elementi scenograficiTra questi: la riproduzione in gigantografia di due cineromanzi e una grande bobina cinematografica snodata lungo il percorso di visita con le immagini del cineromanzo Senso, dal film di Luchino Visconti. Infine, una postazione interattiva per realizzare le copertine personalizzate dei cineromanzi esposti. Due le pubblicazioni realizzate dal Museo Nazionale del Cinema in occasione della mostra. “Lo schermo di carta. Storie e storie di cineromanzi”, ideato da Gianni Amelio e curato da Emiliano Morreale, rappresenta il primo organico tentativo di ricostruire la storia di questo fenomeno editoriale. Il volume contiene un testo inedito e un’intervista di Amelio, alcuni saggi di approfondimento firmati da studiosi di settore, schede storico-critiche sulle principali collane di cineromanzi e un ricchissimo apparato di illustrazioni. “Cineromanzi. La collezione del Museo Nazionale del Cinema”, un quaderno monografico con saggi critici, un ricco apparato iconografico e un catalogo analitico di tutte le pubblicazioni consultabili presso la Bibliomediateca del Museo Nazionale del Cinema “Mario Gromo”.
CINEROMANZI
CINEROMANZI
I cineromanzi erano, in pratica, fotoromanzi composti prendendo i fotogrammi dei film e aggiungendo didascalie e fumetti. In parte eredi degli adattamenti illustrati dei film, risalenti agli anni Dieci e sempre pieni di immagini ( con titoli come "Cinevita" e "I filmi appassionanti"): il cineromanzo sembrerebbe quindi un sostituto del film, un modo per portarselo a casa.
Ridotti a racconto, i singoli titoli diventano tutti simili, un unico grande film, riraccontato sulla carta. Il fatto è che cinema, fotoromanzo e cineromanzo sono figli di un immaginario comune, di un' immaginazione melodrammatica che, nella versione del cineromanzo, riduce (o riconduce) appunto tutto il cinema a un unico grande mélo: i film di Antonioni e Catene, Senso, La strada, i film sceneggiata napoletani e James Dean. Se alla fine degli anni Quaranta ci sono già dei cineracconti che arrivano a un passo dal fotoromanzo, la stagione d' oro (con il balloon vero e proprio) comincia probabilmente con "Super cinema", alla fine del 1950 (prima uscita Il brigante Musolino) e l' apogeo è a metà del decennio: nascono e muoiono "Fotoromanzo gigante" La lavorazione era a volte piratesca, fatta all' insaputa dei produttori (specie per i film americani): da copie pirata si prelevavano fotogrammi e li si componeva alla meglio, aggiungendo il testo e stampandoli su carta da quattro soldi. "Cineromanzo gigante" era pubblicato dalla Lanterna Magica, in realtà una emanazione delle produzioni De Laurentiis. Sono tra i cineromanzi di miglior qualità, che fanno largo uso anche di foto di scena, hanno un' autrice che firma i testi (Mara Baldeva), un ampio formato, ottima carta e a volte escono in contemporanea con i film (per La donna del fiume di Soldati addirittura prima), in sinergia con le produzioni della casa. La parabola del cineromanzo finisce col boom, anche se conosce qualche incarnazione successiva, in particolare in versione erotica. Se il cineromanzo è un prodotto reietto, il cineromanzo erotico è ultimo tra gli ultimi.
FOTOROMANZO
Bolero Film e Grand Hôtel hanno finito per essere più rivoluzionari degli articoli in cui Berlinguer li criticava.
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Franco Gasparri, il principe dagli occhi verdi, in un'inchiesta del 1975 risulta il più amato dalle italiane, davanti persino a Mastroianni, Per Claudia Rivelli, Katiuscia, Michela Roc, si creano file chilometriche davanti agli stabilimenti dove girano. Poi la tv privata, con i suoi Dallas e le sue telenovelas, li ripone piano piano nel cassetto.
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Il boom è degli anni Settanta quando le case editrici vendono 8 milioni di copie al mese. Ci sono 14 testate della Lancio, 5 della Rusconi, 3 di Mondadori. Si crea uno star system di divi più amati di quelli del cinema.
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FOTOROMANZO
Il Pci scende a patti con il diavolo e per le elezioni del 1953 lancia un fotoromanzo più noioso dei discorsi delle sardine che intreccia l'amore alla lotta di classe. Famiglia Cristiana risponde con fumetti che raccontano coppie devote, sante patrone di mogli infelici e ragazze madri. Anche la Bibbia diventa fotoromanzo.
Qui nasce Sofia Loren. Quando passa il provino ha 16 anni, parla quasi solo napoletano, ma il fisico e la faccia sono quelli giusti. Poi arriveranno la Lollobrigida, la Cardinale, Gassman, Walter Chiari, la Carrà, Arbore, Mike Bongiorno persino Giorgio Albertazzi e Ottavio Missoni.
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COMUNISMO
Nel 1953 alla Mazzonis di Torino, fabbrica combattiva, 500 operaie di cui 300 sindacalizzate, l'Unità vende 30 copie, Grand Hotel 300 e Bolero 200». Anche il Sessantotto, che lo considera un prodotto reazionario e antifemminista, viene seppellito da una risata.
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Istruzioni pratiche per la realizzazione del fotoromanzo di Ennio Jacobelli (1956)
Questa scena mostra con chiarezza – e quindi incentiva – un corteggiamento discreto, con codici ben definiti, quasi cavallereschi (l’uomo offre fiori, bacia con molta gentilezza, non corre via dopo i momenti di intimità, insomma si comporta “bene”). Inoltre, ciò che accade tra le due pagine (“Passano due ore”) non è documentato visivamente: la fotocamera guarda altrove o, meglio, non guarda del tutto – come una variante molto radicale e schietta del “chimney-shot” hollywoodiano dove le riprese vengono sfumate. La sequenza di chiusura, tuttavia, introduce un elemento del tutto nuovo: il denaro. Dopo che l’uomo se n’è andato, la donna scopre sotto il portacenere un certo numero di banconote da 1000 lire. È prostituzione? C’è stato un qualche tipo di abuso? Sarebbe sciocco negare l’implicazione patriarcale di questa scena, ma allo stesso tempo è troppo facile spiegarla decodificandola come la versione garbata e fisicamente non violenta del vecchio rapporto “sesso per denaro” tra uomo e donna (la figura femminile, tra l’altro, qui appare come una persona indipendente: vive da sola e l’incontro non è organizzato da una terza persona). Un breve confronto con i contenuti tipici del melò italiano degli anni Cinquanta, come descritto per esempio da Emiliano Morreale nel suo studio quasi enciclopedico del genere, aiuta a capire che cos’altro può essere in gioco. Invece che un nudo e crudo scenario di concezioni patriarcali, ciò che appare in una scena come questa è un esempio più positivo e amichevole della crescente importanza dell’economia del dono nell’Italia del dopoguerra, dove il semplice atto di dare è uno strumento chiave per l’inclusione sociale ed economica dell’altro. Una situazione simile appare nel famoso film “rosa” neorealista del 1953 Pane, amore e fantasia (Luigi Comencini, 1953), che riscosse grande successo anche nel format del fotoromanzo, in cui il protagonista del film, un maresciallo dei carabinieri di mezza età (Vittorio de Sica), desideroso di sposarsi, cerca di ottenere un appuntamento romantico con una giovane contadina (Gina Lollobrigida), prima di innamorarsi della levatrice del villaggio (Marisa Merlini). Quando si reca a casa della ragazza, il maresciallo è colpito dalla “onesta povertà” (un cliché fondamentale del melodramma) della ragazza che lo rifiuta e decide di lasciare, mentre nessuno lo vede, una banconota da 5000 lire. A differenza del frammento isolato di Jacobelli, la “scena del denaro” nel film di Comencini è parte di una trama più ampia, in cui il dono avrà molti effetti collaterali divertenti e velatamente satirici.
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Istruzioni pratiche per la realizzazione del fotoromanzo di Ennio Jacobelli (1956)
Le Istruzioni di Jacobelli, per molti aspetti, rispecchiano abbastanza bene lo stato del business dei fotoromanzi a metà degli anni Cinquanta. Nel 1956 il fotoromanzo è un format consolidato, stabile e abbastanza solido da divenire oggetto di un manuale d’istruzioni professionale. In questo periodo, è altresì chiaro che il fotoromanzo è parte del più ampio business del cinema. Da un lato, infatti, è ancora il trampolino più importante per i giovani attori e le attrici che cercano di entrare a Cinecittà: tra le stelle che hanno lanciato la propria carriera grazie ai fotoromanzi ci sono attrici come Gina Lollobrigida e Sofia Loren; dall’altro, tutti i film in questi anni sono trasposti nel formato del fotoromanzo (e l’eccezionale forza della formula del fotoromanzo fa sì che venga completamente abbandonato il precedente format del cineromanzo). Allo stesso tempo, le Istruzioni di Jacobelli sono molto affascinanti per via di alcuni aspetti abbastanza sconcertanti (per non dire bizzarri). In primo luogo, il modello presentato come esempio da seguire, in realtà, non corrisponde alla pratica del fotoromanzo. Come contenuti, inoltre, il modello è diverso anche da quello che ci si sarebbe aspettati da un libro del genere, e apre una finestra sulla società italiana che può incuriosire i lettori moderni. Nella nostra lettura delle Istruzioni cercheremo di analizzare queste due peculiarità, provando a capire perché questo libro è molto più di un manuale d’istruzioni rivolto ad aspiranti professionisti. Un fotoromanzo “all’acqua di rose”? Ennio Jacobelli spiega ogni cosa. Il suo libro copre tutti i possibili aspetti tecnici della realizzazione di un fotoromanzo e illustra anche i molti passi da compiere, dalla prima idea fino alla realizzazione finale. Allo stesso tempo, Jacobelli richiama l’attenzione sugli aspetti collaborativi del business e sulle difficoltà di rapportarsi con tante persone diverse (che mostrano spesso, secondo l’autore, un ego eccessivo): da qui, per esempio, nascono le osservazioni sulla sgradevole mancanza di puntualità degli attori (il tempismo è una questione importante, e Jacobelli non smette di insistere su questo punto). A prima vista, la descrizione di questi aspetti tecnici e dei compiti e delle responsabilità dei vari soggetti coinvolti nella produzione di un fotoromanzo sembra estremamente plausibile, e si possono ritenere le Istruzioni una fonte affidabile per quanto riguarda questi aspetti. Le immagini e gli esempi, però, non si limitano a mostrare e a descrivere il tipo di lampade necessarie per illuminare correttamente la scena o che cosa dire allo stampatore quando gli si mandano le pagine di layout. Le immagini esemplificano anche scene tipo, forme e temi di un fotoromanzo, con contenuti che sorprenderanno gli effettivi lettori del genere. Molti di loro non riusciranno a riconoscere il tipo di opera che divorano con passione, settimana dopo settimana, leggendo riviste come Grand Hotel o simili. Il fotoromanzo virtuale di Jacobelli è didatticamente corretto, ma culturalmente sbagliato. Infatti “sembra” un fotoromanzo, pare averne lo stesso sapore, ma non è un vero e proprio fotoromanzo.
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